Dopo la sbornia di notizie di questi giorni, passerelle e comunicati stampa, ritengo, per essere stato più volte chiamato in causa, di dover fare alcune precisazioni perché il rischio di “deragliare” dalla Verità e dalla Storia è molto alto, soprattutto quando l’obbiettivo, con discorsi di circostanza pronunciati da chi per la prima volta ha visitato il luogo, è quello di dimostrare la linearità degli interventi. Probabilmente quanto realizzato ha ignorato che il Restauro Architettonico, di questo si tratta, non si fa con le rimozioni, la pulizia delle erbe infestanti e/o peggio costruendo inutili sovrastrutture, (capannoni) ma con le idee ed osservando quanto è giunto sino a noi! Sul tema del Restauro architettonico ci si confronta con la fisicità del luogo, con la materia e con spazi fisici definiti, con strutture che contribuiscono a definire architetture fortemente stratificate, che spesso vengono mortificate da “passerelle” e sovrastrutture la cui mortificazione coinvolge tutta la Comunità: la vera custode del Patrimonio Culturale del luogo. Ritengo di dovere parlare di S.Marco a Rota (già S.Maria a Rota) perché la “disinformazione” ha preso il sopravvento e gli interventi non hanno fatto giustizia del luogo. Si è solo tentato di “giustificare” un intervento disastroso dimostrando capacità di spesa. Quanto realizzato, infatti, ha ignorato che la Storia c’era già ed aveva solo bisogno di essere letta, attualizzata, conservata e purtroppo nulla di tutto ciò è stato fatto! Ritengo che la costruzione di “paccottiglie” abbia compromesso in maniera irrimediabile il valore aggiunto che la “patina” del tempo aveva attribuito al manufatto con quanto conservava. Un edificio con una qualità architettonica emblematica grazie alla stratificazione storica, per i materiali e per quanto all’interno conserva, è stato trasformato dai “cultori della materia” in una struttura asettica: un “parco giochi” con annesso “capannone pertinenziale”! Vogliamo una volta per tutte renderci conto, dalle contraddizioni che emergono dagli scritti e dai discorsi “estemporanei” di circostanza, che in zona Archeologica (l’area è stata sottoposta a vincolo 50 anni fa) sono state costruite due travi di fondazione (una a destra ed una a sinistra della Chiesa) che hanno comportato uno scavo con mezzi meccanici e la demolizione di fondazioni del X secolo? Stiamo parlando di travi di fondazione in c.a. costruite in zona Archeologica (della dimensione di mt 0.70 x 1.20 per 30.00 di lunghezza) per sorreggere strutture verticali e orizzontali aberranti in ferraglia, nel totale disprezzo delle Norme Tecniche in Zona sismica e soprattutto del contesto. Vogliamo renderci conto che la Variante predisposta ha stravolto il Progetto originario approvato dal Comune e dalla Soprintendenza, probabilmente per salvaguardare gli interessi dell’Impresa Appaltatrice dopo la scadenza del termine contrattuale? Vogliamo renderci conto che il Progetto originario approvato (quello che ha ottenuto il finanziamento) prevedeva l’utilizzo della struttura con funzioni compatibili nel rispetto della normativa vigente e quindi destinato a sala polifunzionale? Che fine hanno fatto le somme previste per le analisi dei materiali, per il Consolidamento della struttura muraria e la copertura con capriate in legno lamellare a vista? Le passerelle non fanno bene ai Beni Culturali: sono autocelebrative e quasi sempre riescono solo a danneggiare! Del resto non meraviglia più di tanto, visto che a tenere in mano le fila degli interventi sono “personalità” che, non avendo argomenti, hanno reagito ad interventi circostanziati sul tema del Restauro e Valorizzazione del Monumento con un linguaggio da “scaricatore di porto” e soprattutto offendendo il Patrimonio Culturale della Città di Mercato S.Severino. Ma veniamo all’apertura e presentazione del Monumento restaurato alla cittadinanza per dire che, aldilà degli squilli di tromba e rulli di tamburi, nessuno ha evidenziato che lo “stato dell’arte” racconta un’altra storia, non si sono resi conto che è stato “mostrato” lo “scalpo” di una struttura “sconfitta”! Del resto, gli interventi sulla stampa sono pieni di contraddizioni e gli “intellettuali” presenti, artefici del disastro, non hanno proferito parola neanche sul fatto che, con l’intervento realizzato, sembra che abbiano imitato la “porcilaia” (termine usato addirittura per identificare il luogo nel cartello di presentazione, oltre che nei discorsi) atteso che risulta trasformato uno spazio architettonico di qualità in uno spazio asettico con interventi lontani anni luce da ciò che può essere qualificato come Restauro: è stato ignorato completamente quanto per decenni la Teoria e Storia del Restauro, grazie ai sacrifici e all’impegno di gente illuminata, hanno portato avanti, in particolare sul Patrimonio Architettonico allo stato di “rovina”. Non si comprende, infatti, come sia stato possibile realizzare all’interno di uno spazio architettonico qualificante e fortemente stratificato una inutile rampa, non adeguata alle Norme in vigore, sul superamento delle barriere architettoniche con un intervento che ha offeso uno spazio interno qualificante, ignorando che, utilizzando correttamente le risorse messe a disposizione per il Restauro, poteva essere tutto evitato. Detto questo, ritengo che alcune precisazioni siano doverose soprattutto per far comprendere a chi, ascoltando posizioni raccontate per “partito preso” e non avendo gli strumenti per farsi una propria idea per affrontare queste tematiche, diventa inconsciamente vittima del “pensiero unico”. Del resto è un tema, quello del Restauro e Conservazione del Patrimonio Architettonico così come quello della ricerca e tutela del Patrimonio Archeologico, in “divenire”: quanto viene fatto sul campo per la salvaguardia e la tutela deve avere come obbiettivo primario quello di rendere leggibile la Storia, la stratificazione, la bellezza. Trovo davvero singolare che coloro che dovrebbero avere contezza sul “concetto di cura” guardino con ammirazione la distruzione e guidino le “falange” contro il Patrimonio per motivi che non sto qui a raccontare. Ebbene, per S.Marco a Rota è successo proprio questo: non parlano più le pietre, ma personalità a cui il Patrimonio della nostra città forse non interessa affatto, altrimenti non avrebbero ignorato che, con azioni scellerate irreversibili, stanno rubando il nostro futuro. Il Monumento e la nostra Storia sono stati mortificati: leggere nel cartello di presentazione ed ascoltarlo dai discorsi fatti, che la Chiesa era stata trasformata in “porcilaia”, è una doppia mortificazione per la Comunità, tanto più che è falso. Tutto questo viene raccontato perché si è a corto di argomenti, ma anche per apparire come i “salvatori della patria”! A questo punto viene naturale chiedersi dove fossero gli autori di questo scempio quarant’anni fa, quando il sottoscritto ha cercato in tutti i modi possibili di richiamare l’attenzione sul Monumento e come oggi abbiano potuto autorizzare un intervento che mortifica uno dei siti più importanti della città? Penso che sia anche legittimo chiedersi se chi ha progettato, e quanti hanno approvato i progetti e/o diretto i lavori, siano mai andati in giro a vedere cosa viene fatto altrove in zona Archeologica in presenza di Manufatti Architettonici allo stato di “Rovine”! Probabilmente hanno visitato solo il Castello dei Sanseverino dove è possibile appunto, assistere alla “rovina delle Rovine”! Basta non essere provinciali e guardarsi intorno per vedere cosa succede altrove dove, in punta di piedi, si interviene con rispetto ed eleganza utilizzando le risorse non per costruire paccottiglia ma per restaurare e valorizzare l’esistente. Mi piace ricordare un sito a caso, l’area Archeologica “Villa Romana” di Malvaccaro – Potenza, a cui Vincenzo Capodiferro ha dedicato una nota pubblicata sulle pagine del Quotidiano “Cronache” del 09/04/2024. E’ necessario leggere la nota e visitare il sito per rendersi conto subito della differenza di approccio e soprattutto verificare che quanto è stato necessario realizzare a protezione delle rovine è stato fatto con eleganza, rispetto per il contesto e per il Paesaggio. A S.Marco a Rota la soluzione è stata trovata con il rinterro perché quasi certamente non sapevano dove smaltire il terreno dello scavo eseguito per le fondazioni, i contenitori di plastica ed altro ancora…. Tutto quanto detto finora è per chiarire come si dovrebbe affrontare un tema importantissimo per la tipologia di strutture come quella che ci occupa, atteso che non solo di scavo archeologico si parla, ma di Restauro di manufatti esistenti fortemente stratificati e di rara bellezza. Oggi è stato stravolto anche il tema della destinazione d’uso che, pur dovendo rivedere alcune scelte fatte per il Consolidamento della struttura verticale, risultava già affrontato con il progetto originario approvato (quello che ha ottenuto il finanziamento andato in appalto per intenderci). I soloni della materia, con la complicità delle istituzioni, hanno creato confusione per trasformare il progetto originario approvato in un “pacco” donato alla città che lo ha accolto con grande interesse senza rendersi conto dello sfacelo! Il futuro di queste strutture sta solo nella capacità di individuare “destinazioni d’uso compatibili”, la “musealizzazione” le espone alla inesorabile rovina ed abbandono: di tutto questo, almeno gli operatori culturali e le istituzioni ne sono a conoscenza? Perché hanno fatto una inversione ad “U”? Quali sono stati gli interessi che hanno guidato tali scelte atteso che non possono trovare una giustificazione tecnica e culturale, né tantomeno risultano qualificabili come Restauro? Del resto, già il Professore Roberto Pane, negli anni ’50 del secolo scorso, individuava nella “destinazione d’uso compatibile” il futuro di questo immenso Patrimonio, perché solo l’uso ne può garantire la manutenzione e conservazione. Per affrontare nella maniera equilibrata questi temi ci sono parole che dovrebbero farci riflettere come idee, linee guida, programmazioni, progettazioni, destinazioni d’uso ed a cui si deve assegnare un posto di primo piano nelle scelte che si vogliono fare per il futuro prossimo del nostro Patrimonio Culturale e Architettonico: essere estemporanei non paga.
Carmine Petraccaro, Architetto