di Vincenzo Altobello *
L’interesse destato dagli editoriali di Luigi Celestre Angrisani prima, e dall’avvocato Marcello Murolo poi, nasce da una realtà tanto incontestabile quanto assurda: la disparità di trattamento del personale esistente nel settore della riabilitazione. Disparità a cui corrispondono invece rette uguali pagate dal servizio sanitario. È giusto denunciarlo ed è doveroso trovare delle soluzioni.
Ci troviamo di fronte ad una giungla retributiva talmente assurda da essere unica nel panorama nazionale dei contratti collettivi di lavoro, e lo dico da tecnico del settore impegnato ogni giorno dalle istituzioni (Enti, Circolari, interpretazioni, pareri, messaggi ….ecc) per la verifica e la corretta applicazione delle norme contrattuali.
Unica, giacché facendo una semplice indagine, si scopre che è la sola situazione dove digitando in “banca dati” la mansione di fisioterapista, vengono fuori circa 10 contratti di lavoro, stipulati dalle varie associazioni sindacali di categoria (rappresentative, dobbiamo pur dirlo, di interessi corporativi), che attribuiscono al ribasso le retribuzioni minime spettanti ad una mansione. Attribuzioni che non nascono da un percorso aziendale, ma da un titolo di studio e dalle mansioni svolte, che impongono la giusta e corretta valutazione economica. Invece troviamo riduzioni che arrivano fino al 20/25% (una enormità) di quanto stabilito dal contratto collettivo di lavoro stipulato dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale, quali l’AIOP/ARIS per parte datoriale e da CGIL-CISL-UIL-UGL per parte lavoratori.
Unica, in quanto nel panorama nazionale non vi è riscontro di una frammentazione così articolata, se non nei vari settori manifatturieri, ad esempio quelli metalmeccanico, tessile, edile, dove però la differenziazione esiste solo con la “duplicazione” riferita alla “dimensione aziendale” (industria e piccola industria). Insomma tutta un’altra storia.
Si tratta di un “caos”, come denunciato negli articoli di Angrisani e Murolo, che non riguarda solo la retribuzione ma tutto l’insieme del contratto. Non va infatti sottovalutato l’aspetto applicativo sulla scelta del contratto di lavoro, foriero di riconoscimenti agevolativi contributivi e su possibili sanzioni in ordine ai vari istituti contrattuali quali orario di lavoro, riposi, ferie. Lo si può evincere con chiarezza dalla tabella che mette a confronto i vari contratti.
Un ulteriore paradosso è che questi contratti (che sono sempre peggiorativi e mai migliorativi rispetto alle condizioni di lavoro previste dal contratto principale di ARIS-AIOP) hanno sempre una qualche dichiarazione di intenti in cui si riconosce come giusta e auspicabile una omogeneità di trattamento.
Facciamo alcuni esempi. Nel contratto Anffass si legge che le parti “Sottolineano la necessità di perseguire un’adeguata integrazione ed omogeneità tra i diversi soggetti del settore collocati all’interno di un quadro di programmazione generale definita dal soggetto pubblico. Ciò comporta la valorizzazione e qualificazione delle risorse disponibili attraverso una relazione corretta tra i bisogni ed i diritti dell’utenza, l’assetto dei servizi, il trattamento complessivo delle lavoratrici e dei lavoratori anche privilegiando l’assunzione del personale a tempo indeterminato”. Così come nel contratto Agidae leggiamo che “Le parti si impegnano a favorire la costituzione di un unico c.c.n.l. per tutto il settore attraverso la definizione di una parte economica e normativa comune ed il mantenimento delle specificità evidenziate nei singoli contratti”. In modo del tutto analogo nel contratto Anaste “Le parti si impegnano a favorire la costituzione di un unico c.c.n.l. per tutto il settore attraverso la definizione di una parte economica e normativa comune”. Peccato però che tutte queste dichiarazioni di impegno rimangano poi nel cassetto e la realtà sia quella della giungla. A danno di chi lavora e anche delle casse pubbliche, visto che vengono pagate le stesse rette ad aziende che spendono molto meno di altre. A scapito del personale e, immaginiamo, della qualità dei servizi. Far finta di niente e soprattutto, non fare niente, sarebbe davvero incomprensibile.
* consulente del lavoro