Sono diciassette i comuni della provincia di Salerno il cui territorio ricade all’interno della zona infetta, ovvero nell’area in cui è stata accertata la presenza di animali selvatici colpiti da peste suina africana. L’ordinanza emessa dalla Regione Campania nella giornata di venerdì ha sensibilmente ampliato l’area interessata dal primo provvedimento, limitata ad otto comuni. Finiscono così per ricadere all’interno della zona colpita dalla peste suina i comuni di Buonabitacolo, Casalbuono, Casaletto Spartano, Castelle in Pittari, Montesano sulla Marcellana, Monte San Giacomo, Morigerati, Padula, Piaggine, Rofrano, Sala Consilina, Sassano, Sanza, Teggiano, Torraca, Tortorella e Valle dell’Angelo.
All’origine del provvedimento il ritrovamento, nei giorni scorsi, da parte dei carabinieri forestali di cinque carcasse di cinghiali nel territorio del comune di Sanza, tutti risultati colpiti da peste suina. Altre otto carcasse sono state poi individuate a Montesano sulla Marcellana; anche in questo caso a seguito dei controlli effettuati dal servizio veterinario dell’Asl di Salerno gli animali sono risultati infetti.
Di qui la necessità di applicare immediatamente le misure atte a evitare la diffusione della malattia, che se lasciata libera di diffondersi rischia di provocare gravi danni al comparto zootecnico, con perdite sia dirette che indirette, considerate le possibili pesanti ripercussioni economiche in relazione al blocco delle movimentazioni delle partite di suini vivi e dei relativi prodotti derivati all’interno dell’Unione Europea e verso i mercati internazionali.
Al fine di scongiurare questo pericolo, l’ordinanza della Regione Campania prevede l’immediata applicazione delle misure previste dall’ordinanza n° 2 del Commissario straordinario alla peste suina. Accanto agli obblighi di segnalazione e controllo di tutti i suini selvatici morti o moribondi rinvenuti sul territorio interessato, sono previsti divieti che vanno da quello di movimentazione al di fuori della zona infetta di carne, prodotti a base di carne e ogni altro prodotto ottenuto da suini selvatici abbattuti in zona infetta, alla sospensione dell’attività venatoria. Anche le attività all’aperto – incluse quelle ludico-ricreative e sportive – svolte nelle aree agricole e naturali dovranno essere preventivamente autorizzate. Oneri non indifferenti, dunque, per privati ed imprese, tanto più alla soglia della stagione estiva.
Il provvedimento della Regione non manca di riportare l’attenzione sul tema della gestione del territorio, come sottolinea Angelo Retta, presidente dell’associazione “Sole e Acciaio”: «In primo luogo – dice – va sottolineato come la peste suina non sia pericolosa per l’uomo, per quanto potenzialmente dannosa per l’economia. Detto ciò, non possiamo evitare di porci alcune domande, ad iniziare dalla possibile origine dell’epidemia e dai vettori di diffusione della stessa. La ripresa della malattia origina, molto probabilmente, da importazioni fatte negli anni passati dall’est Europa di animali destinati all’allevamento o al ripopolamento».
Chi funge da untore?
«Senza dubbio una popolazione di cinghiali ormai fuori controllo. È qui veniamo al cuore del problema, ovvero alla mancata o errata gestione del territorio, un problema che denunciamo da tempo, che si tratti di orsi, cinghiali o manutenzione di boschi e montagne. In Campania si stima una popolazione di oltre 25mila cinghiali: un’enormità, come testimoniano diffusione e danni prodotti. E nonostante ciò assistiamo sempre a feroci polemiche quando si ipotizza la possibilità di agire attraverso una selezione conservativa. E poi ci sono i paradossi, contenuti anche nell’ultima ordinanza regionale».
A cosa si riferisce esattamente?
«Il provvedimento prevede l’attuazione delle misure contenute nell’ordinanza n° 2 del Commissario straordinario alla peste suina, tra queste c’è la richiesta di “coinvolgimento attivo” delle associazioni venatorie nella ricerca di carcasse da sottoporre a controllo. Di fatto si riconosce che i cacciatori sono quelli realmente presenti sul territorio, dotati di una profonda conoscenza dello stesso; quegli stessi cacciatori che, fuori dall’emergenza, la Regione penalizza e mortifica. Mi auguro che non si arrivi a chiedere ai cacciatori di procedere agli abbattimenti».
Perché?
«Perché “fucilare” un cinghiale non ha nulla a che vedere con l’attività venatoria. Per un cacciatore lo sparo è solo l’atto conclusivo della battuta, che è invece un’attività che si svolge in stretta collaborazione con i cani. Non so cosa ne pensino le associazioni venatorie, certamente i soci cacciatori di “Sole e Acciaio” condividono questa visione».
Come si esce da questa situazione?
«Fino a quando il problema sarà affrontato in modo ideologico e non logico non si arriverà mai realmente a soluzione. E questo a dispetto dei danni che, inevitabilmente, si producono: è di tutta evidenza che le conseguenze di questa gestione del territorio ricadono non solo sulle attività imprenditoriali del comparto zootecnico ed agricolo, ma anche su quelle di chi opera nel vasto settore delle attività outdoor, anche a livello associativo come noi. Oggi anche organizzare una passeggiata a cavallo o una gara di tiro con l’arco è un problema nei territori che ricadono all’interno della zona infetta».
Clemente Ultimo