di Olga Chieffi
“Responsabilità della fotografia”: il fotografo Armando Cerzosimo, in mostra nell’ambito della rassegna “Visionnaire22”, firmata da Andrea Avagliano, con “Appunti per un’iconografia della canzone”, curata da Massimo Bignardi, ha scelto un tema amplissimo per dedicarsi nel pomeriggio di domani, dalle 16 alle 20, ad un pubblico di professionisti del settore della fotografia sia artistica che commerciale del nostro territorio e delle associazioni di categoria. Sarà un dialogo ad ampio spettro tra Armando Cerzosimo e Massimo Bignardi, che può accendersi anche solo riflettendo sulle sedici immagini esposte, capaci di legare due simboli inafferrabili quali quello della musica e quello dell’immagine. Si discuterà come dei diversi significati di un termine quale “responsabilità” o “consapevolezza” possa essere applicato a quest’arte, che consegna un’immagine ai posteri. Nella visione di Armando Cerzosimo, la fotografia è un dono, quindi dovrà essere un dono consapevole, nell’intenzione, nel soggetto, nella tecnica della realizzazione, nell’uso, nelle ragioni, poiché la fotografia diventa documento, studio storico, sociologico, artistico, etnico, geografico e si potrebbe continuare all’infinito. E’ usuale dire che le fotografie siano un modo di tener ferme le cose, di placare il flusso di un mondo irrequieto. Le fotografie ci permettono di guardare delle immagini fisse, per piacere o conoscenza, o per entrambe. Ma, in esse, c’è quasi nulla che possa essere definito “fermo”, neanche la carta perché cede al tempo. Fin dalla loro comparsa, le tecnologie della fotografia sono state in perenne mutamento e costante sviluppo e i compiti che abbiamo affidato al medium hanno continuato a cambiare ed espandersi oltremisura. Inoltre, le fotografie sono estremamente mobili, si spostano nel tempo, nelle culture e nei contesti. Perdono e acquistano significati: in realtà non potrebbero essere così mobili se non fossero così fisse. La muta immobilità delle fotografie consente la loro promiscuità e proliferazione. Così, paradossalmente, le fotografie hanno contribuito a produrre il flusso che promettono di placare. Confondono tanto quanto affascinano, nascondono tanto quanto rivelano, distolgono la nostra attenzione tanto quanto l’attraggono, sono delle comunicatrici imprevedibili. Non possono esprimere significati in modo limpido dando conto dell’immagine che descrivono e neppure di loro stesse. Più precisamente, in che maniera le ambiguità dell’immagine fotografica, tra le quali figura il suo valore d’uso, possono venire “neutralizzate” e, quindi, sono conciliabili con dei valori artistici? Una fotografia è una presenza insistente, enigmatica, puramente “folle”, altrimenti non potrebbe essere un prodotto artistico. Se una fotografia affascina, se cattura la nostra attenzione, sarà per di più di una ragione, che potrebbero essere inaspettate, persino contraddittorie (le sensazioni contrastanti sono le più affascinanti, naturalmente). Quando proviamo il desiderio di guardare e riguardare una fotografia è, probabilmente, perchè la nostra seconda o terza o successiva reazione non sarà mai identica alla prima: un segno ineffabile, quindi, come quello della musica. E’ noto che alla domanda su chi fosse il più grande dei fotografi, John Szarkowski rispose senza esitare: “Anonimus”. Immagini straordinarie, quindi, possono provenire da chiunque, in qualunque momento, in qualsiasi situazione. La fotografia è nella posizione ideale per sfruttare i doni offerti dal mondo che le sta avanti. Inoltre, il mestiere della fotografia sembra poter essere appreso quasi subito, specialmente oggi, nell’era del digitale. Non è così: non è calcolabile il tempo per farlo proprio e iniziare una ricerca. Ciò significa che le fotografie possono derivare quasi interamente dalla disposizione e dall’atteggiamento del fotografo verso il mondo. Il medium, naturalmente accoglie chiunque ci inciampi dentro, proprio come l’obiettivo che accoglie la luce che lo attraversa.