Ravello Festival: Essendo Stato - Le Cronache
Musica Spettacolo e Cultura

Ravello Festival: Essendo Stato

Ravello Festival: Essendo Stato

 

Scialbo compitino dell’ Orchestra Giovanile Italiana nella decima di Gustav Mahler, mentre la seconda dell’ “amico” Alfredo Casella è risultata maggiormente coinvolgente

 

Di LUCIA D’AGOSTINO

Alfredo Casella e Gustav Mahler, il compositore torinese e la sua Sinfonia n.2 in do minore, op.12 e il maestro boemo-viennese e la Sinfonia n.10 in fa diesis minore. Questo il dialogo musicale portato domenica, sul palco del Belvedere di Villa Rufolo dall’Orchestra Giovanile Italiana, diretta  da Jérémie Rhorer, che aggiunge uno degli ultimi tasselli al completamento del programma del Ravello Festival, fatto ruotare quest’anno intorno al confronto tra autori italiani ed europei nell’arco temporale tra Ottocento e Novecento. E se l’esecuzione di Mahler ha risentito un po’ della giovane età degli orchestrali che ha restituito al pubblico una sinfonia se non poco convincente, sicuramente poco coinvolgente, l’orchestra, agli ordini di un Rhoher concentrato e impeccabile, si è poi rifatta, in qualche modo, nella seconda parte dedicata a Casella. Magari sentendo più suo uno stile fatto di continui “balzi”, da un motivo musicale all’altro, che hanno regalato la prosecuzione di un concerto decisamente più ritmico e ispirato. Una scoperta, quella di Casella, per chi ancora non lo conoscesse, sicuramente benefica, come lo sono stati, finora, quelli di altri autori nostrani poco eseguiti, che ha avuto anche un siparietto per l’omaggio a Woodstock con  “With a little help from mi friends” dei Beatles nella versione resa celebre da Joe Cocker, ma che continua a lasciare perplessi in merito alla scelta dei contenuti di una rassegna che, vale ricordarlo, ha una sua identità ben definita che, per una ragione inspiegabile, sta continuando ad essere smantellata. In una recente intervista su Repubblica Mauro Felicori, chiamato, lo ricordiamo, dal governatore De Luca quale commissario straordinario della Fondazione Ravello e, di cui non si discutono le doti manageriali, ha detto che la decisione di dare spazio alle orchestre italiane non è provincialismo, come lo è il pensiero di chi critica le sue scelte artistiche, ma un modo per far conoscere ai visitatori stranieri le eccellenze italiane in campo musicale. Bene, Felicori dovrebbe sapere che indubbiamente ogni Paese ha una sua identità culturale, che va promossa, per carità, ma non solo il bollino D.O.C. non ne garantisce la qualità, quanto c’è da aggiungere che scegliere contenuti internazionali, magari prodotti in Italia o in collaborazione con artisti stranieri, non snatura l’italianità di una rassegna. Si veda il Festival di Spoleto, per fare un esempio, una eccellenza che non pare meno italiana solo perché non accoglie solo espressioni culturali e artistiche nostrane. Non si critica la scelta di far conoscere autori poco noti, non si capisce sul serio perché questo impellente bisogno debba essere soddisfatto al Ravello Festival che un’identità, per giunta multidisciplinare l’ha avuta già, e lo dice chi questa rassegna la ama, la considera una delle cose migliori del nostro territorio e accoglie le novità come un’apertura. Infine, Felicori ha affermato di voler, essendo stato il suo mandato riconfermato fino a gennaio 2020, addirittura fare in modo che il Teatro di San Carlo e la Città della Scienza di Napoli dialoghino con questo Festival facendone una loro vetrina estiva da far conoscere al mondo. Fatte salve le collaborazioni territoriali sempre benvenute, quando la visione politica entra a gamba tesa nelle scelte artistiche non è mai un buon segno. Bello sarebbe se prima o poi da noi le competenze, culturali, in questo caso, di chi sa cosa vuol dire ideare e far crescere un Festival, non fossero viste come un “fastidio”: lasciamo per una volta a ciascuno le proprie.