di Olga Chieffi
Elisir d’amore I atto scena quarta: nella piazza del villaggio, tra il via vai di gente indaffarata. Una cornetta sul palco annuncia l’arrivo di un “gran signore”, con un motivo indelebile, squillante in 3/8, un richiamo irresistibile: arriva Dulcamara. E’ questa una delle scene centrali dell’ opera di Gaetano Donizetti che chiuderà l’estate del Teatro Verdi, in trasferta all’arena lirica del Ghirelli, quella che introduce l’ultimo dei quattro personaggi principali dell’opera, il ciarlatano, colui che darà una svolta decisiva all’opera, rompendo la situazione di stallo iniziale, ovvero l’idillio impossibile tra Adina e Nemorino. La riflessione sul personaggio, stavolta, la faremo dalla parte della tromba, incontrando la prima parte dell’Orchestra Filarmonica Salernitana, Raffaele Alfano. Raffaele, domani sera ti ritroverai a introdurre il Dottor Dulcamara, personaggio chiave dell’Elisir d’amore di Gaetano Donizetti, quasi un deus ex machina. Per il binomio Oren Trespidi come eseguirai queste battute? “Per questa produzione di Elisir rimarrò, per così dire, in “buca”, siamo all’aperto, diciamo che non mi muoverò dal mio leggìo, anche perché la location all’aperto, non facilita gli spostamenti. In questo caso, adotterò un suono classico, pulito, marcando gli accenti e badando al crescendo sulla quartina di semicrome che porta allo squillo d’annuncio di Dulcamara, richiesto dal M° Daniel Oren”. La tromba è uno strumento angelico e guerriero, non solo, naturalmente, per Gaetano Donizetti, che canta dolorosamente nel Don Pasquale, incarnando, perfettamente le aspirazioni eroiche frustrate di Ernesto e la sua partenza, un’allusione fonica abbastanza esplicita alla cornetta del postiglione, carica di malinconia romantica, o nel “Don Sebastiano” con “Squilla la tromba”, in cui le trombe, praticamente fanno graziare Zaida e comandano la partenza delle navi dal porto di Lisbona, quali le tue esperienze? “Sicuramente, preferisco la “tromba triste” del Don Pasquale, in cui mi esprimo meglio e riesco a coinvolgere l’ascoltatore maggiormente col bel suono e l’iridescenza del colore, che con lo squillo. Mi piacerebbe molto ripetere l’esperienza del Don Pasquale e creare nuovamente il climax per il “Povero Ernesto”. La tromba ha scelto Raffaele Alfano o Raffaele ha scelto la tromba? “La tromba ha scelto Raffaele, senza alcun dubbio. Mio zio, Antonio Esposito, era il patron del Gran Concerto Bandistico “Città di Fisciano” e nelle formazioni di giro, i protagonisti sono il maestro direttore e il flicorno sopranino, il “flicornino” concertista. Da piccolissimo, zio mi portava in giro con la banda e gli occhi erano rivolti agli ottoni lucenti dei flicorni e delle trombe, ma non azzardavo a chiedere di suonare. Quando zio mi propose lo studio della musica e quello della tromba, fui felicissimo. Mi affidò, così, ad Andrea Santaniello, fratello di Carmine, trombettista e attuale direttore del Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli e di lì ho iniziato il mio percorso di studio”. Quando e come ti sei accorto che la musica sarebbe stata la tua strada? “La decisione è giunta subito. Ho iniziato con la banda, ho suonato di tutto, anche la musica leggera, tutto il cantautorato italiano e anche il Rhythm&Blues e sua evoluzione. In una tournée con Ennio Morricone, ci siamo sfidati “after hours”, per divertimento, con il sassofonista Gianni Oddi, su polke,mazurke, tanghi e fox trot, nell’interpretazione del liscio, di cui sono amante e anche ballerino”. Freddezza, passione per un acuto, per un passaggio difficile. Quanto cuore e quanta ragione prevede il mix di Raffaele Alfano? “Viene sempre prima il cuore, poi la ragione e in ultimo la perseveranza. Prima di un acuto che decreterà, nel pubblico, entusiasmo o avversione, perché è così, puoi aver suonato benissimo sino alla fatidica battuta, ma se stecchi sarai ricordato solo per l’errore, come avviene per i cantanti, un respiro profondo e un sol pensiero che, se sei arrivato sul palcoscenico per eseguire quella pagina, sei in grado di riuscire e andrà sicuramente bene. Nel momento in cui hai pensato tutto ciò l’attimo fatidico è passato”. La tromba è uno strumento dai mille volti, lirico, sinfonico e non si può non guardare anche al jazz, che ha offerto una svolta tecnica fondamentale a questo strumento. “Certo, si devono conoscere e praticare tutti i generi. Anche la mia proposta da didatta esplora per intero l’universo trombettistico. D’altra parte ottoni e ance non possono assolutamente esulare dalla musica afro-americana, i cui interpreti azzeccarono subito la fisionomia espressiva e altamente tecnica, di questi strumenti, oltre ad offrire un volto individuale a ciascuno dei tagli”. In genere, si inizia sempre guardando, ascoltando e cercando di “imitare” i propri modelli, i propri capiscuola, quali i tuoi? “Ho sempre ammirato Wynton Marsalis, genio proteiforme, forse il trombettista maggiormente rappresentativo di questo inizio del nuovo millennio, virtuoso inarrivabile che sposa le due anime dello strumento, quella jazz e quella squisitamente accademica. Poi, c’è Maurice Andrè la massima tromba classica del secolo breve, il padre di tutti noi. Nel nostro teatro Sergej Nakarakiov, uno dei massimi trombettisti mondiali, ha tenuto due giorni di masterclass, in cui ci siamo potuti confrontare con la sua tromba pirotecnica, nonché col suo flicorno ove mostra uno stile legato sensibile e profondo con un suono meraviglioso. Non per ultimo, ma unicamente poiché solo pochi, purtroppo, hanno, ad oggi, potuto godere della sua maestria, su trombe, trombini e flicorni, per sua inspiegabile scelta, è Vincenzo Toriello, il quale, e qui lo affermo senza temere smentite, potrebbe assurgere alla ribalta internazionale”.