R.OSA: l’insostenibile leggerezza dell’essere - Le Cronache Spettacolo e Cultura
Spettacolo e Cultura Danza

R.OSA: l’insostenibile leggerezza dell’essere

R.OSA: l’insostenibile leggerezza dell’essere

Olga Chieffi

Nella percezione diffusa, la danza è comunemente concepita come un movimento estetico e armonioso eseguito da un corpo che aderisce a determinati canoni di bellezza e proporzione. Solitamente, le esibizioni si svolgono con ballerini e ballerine dalla corporatura snella, talvolta eccessivamente magra, dotati di un fisico atletico volto a esprimere virtuosismo e perfezione estetica attraverso il superamento dei limiti fisici. Tuttavia, in Sala Pasolini, il 13 dicembre alle ore 20 e il giorno successivo, ospite del cartellone del Teatro Pubblico Campano, alle ore 18 andrà in scena R.OSA: dieci esercizi per nuovi virtuosismi, uno spettacolo che sfida questa concezione tradizionale. La performance reinterpretata da Claudia Marsicano con la coreografia di Silvia Gribaudi, il disegno luci di Leonardo Benetollo e la direzione tecnica di Luca Serafini propone una riflessione sulla bellezza che supera i canoni predefiniti, presentando uno spettacolo che non si riduce alla dimensione comica. Come chiarisce la stessa Marsicano la ricerca di bellezza e virtuosismo non si fonda sull’uso esasperato del movimento o sulla forzatura fisica del corpo. Al contrario, il processo creativo che ha condotto alla performance si basa su un approccio opposto, centrato sul corpo della performer, ispirato alle teorie di Botero, e sullo sviluppo del movimento in relazione alle sue caratteristiche fisiche e alle sue capacità. È significativo che nel 2017 questa pièce sia stata finalista ai premi Ubu, riconoscimento di primaria importanza nel panorama teatrale italiano, e che la stessa Marsicano abbia ricevuto, sempre agli Ubu, il premio come miglior attrice under 35, ex-aequo con Serena Balivo. Le luci, ideate da Leonardo Benetollo, conferiscono profondità spaziale al palcoscenico, coinvolgendo gli spettatori, inizialmente inconsapevoli, come co-protagonisti inconsapevoli dello spettacolo stesso. La performer entrerà in scena indossando un body di colore turchese e, dopo alcuni passi, darà inizio all’interpretazione di Jolene, di Dolly Parton. La scena, vuota, si anima esclusivamente attraverso la presenza scenica della Marsicano e la sua forza espressiva. Evocando gli anni ’70 con questa traccia musicale, si passa a rivivere gli anni ’80, periodo in cui Jane Fonda rivoluziona il mondo del fitness. Il pubblico, in piedi, segue la performer che, parlando in un inglese fluente, propone una parodia delle videocassette di esercizi, attraverso le quali milioni di persone hanno cercato di scolpire il proprio fisico in conformità con i canoni di bellezza canonica ancora oggi perseguiti. La forza e l’esuberanza dei passi proposti saranno dirompenti e creeranno un legame immediato con il pubblico, incapace di distaccarsi anche dopo aver ripreso le proprie poltrone. Seguirà un momento rituale di stretching, che introduce le pirouette, e un’esecuzione corporea delle parole italiane preferite dal pubblico, rombo, opuscolo, forchetta, scelte dalla Marsicano in modo sorprendente e sovversivo sia dal punto di vista orale che fisico, rispetto ai canoni contro cui si scaglia R.osa. La performance include, inoltre, una pantomima facciale accompagnata dalla canzone Toxic di Britney Spears, in cui la plasticità di ogni muscolo del viso della performer si sincronizza con il ritmo musicale, evidenziando la difficoltà tecnica e il virtuosismo richiesto. Tra il pubblico, probabilmente qualcuno avrà pensato a “rivoluzione” come parola cardine per descrivere la portata di questa rappresentazione. Come indicato nelle note di regia, R.osa rappresenta una “rivoluzione del corpo”, una rivolta alla gravità che ne mette in mostra la leggerezza e la capacità di sfidarla. La messa in scena di corpi che si discostano dai canoni canonici costituisce di per sé un atto rivoluzionario, inteso come un gesto di forza e di trasformazione radicale. Se non fosse stato accompagnato da un’approfondita indagine teorica condotta da Silvia Grimaudi, tale operazione rischierebbe di scivolare nel grottesco. Alcuni esercizi, come il ponte, previsto dalla locandina e atteso dal pubblico, sono stati volutamente eliminati per evitare che l’intera rappresentazione si trasformasse in un “fenomeno da baraccone”. La proposta non si limita a un’ironica presa in giro della ricerca di una bellezza omologante: piuttosto, l’obiettivo è quello di esplorare e valorizzare la bellezza e il virtuosismo più autentici, quelli percepibili con gli occhi vergini della meraviglia.