di Luca Gaeta
Coesistenza di linguaggi e tecniche diverse di atteggiamenti tradizionali e dello sperimentalismo ha caratterizzato, sabato sera, la prima assoluta di “All’ombra del terebinto” di Gianvincenzo Cresta, evento clou della seconda serata della XIII edizione del PianoSolo Festival, ospite della interessante rassegna Salerno Classica, che ha visto in campo una generazione molto ferace di musicisti, i quali hanno fatto nascere questo progetto, che unisce sinergicamente Gestione Musica e, appunto, PianoSolo. La serata “Prime assolute”, è stata inaugurata dal Quintetto di Luigi Boccherini “Musica notturna per le strade di Madrid” G324 in Do maggiore. L’ensemble Lirico è riuscito a dare a ogni piccola sezione di questi straordinari mosaici sonori, non solo rilievo, ma anche il tempo per poterli gustare nel loro specifico gesto espressivo, in una sorta di divertimento malizioso. L’ evento clou della serata è stata l’esecuzione in prima assoluta di “All’ombra del terebinto”, di Gianvincenzo Cresta, per violino, viola, violoncello e pianoforte, affidata a Ilario Ruopolo al violino, Mattia Cuccillato alla viola, Francesco D’Arcangelo al violoncello e Paolo Francese al pianoforte. Ispirato dal biblico e, allo stesso tempo, mediterraneo albero, simbolo di sapienza, Cresta ha fatto coesistere tra le sue fronde, linguaggi e tecniche diverse, atteggiamenti tradizionali e sperimentalismo, sottoponendo ad un processo ingegnoso di critica e destrutturazione, questo tipo di formazione, genere portante della cameristica, intervenendo con il cesello dell’incisore, per svincolare un’espressione di inaudita libertà. Paolo Francese e l’ensemble lirico italiano si sono prestati con ammirevole concentrazione alla resa di un universo compositivo quanto mai avvincente, simbolico e articolato, di stratificata complessità, ricercando, anzitutto, la perspicuità di un dettato cameristico imprevedibile e mercuriale: così che l’interpretazione si è animata di una pregnanza gestuale, modellata sempre sull’essenza della scrittura, dunque sulla sua palpitante consistenza, sulla sua naturalezza di respiro. Gran Finale con l’esecuzione del terzo concerto per pianoforte e orchestra op. 37 (trascrizione V. Lachner) in Do Minore, di Ludwig Van Beethoven, con solista Paolo Francese in dialogo con il Quintetto dell’Ensemble Lirico Italiano. Fin dal primo tema che consiste nella semplice scansione ascendente della triade di do minore da parte degli archi nel registro grave e si chiude con l’intervallo ripetuto dominante-tonica, nella sua incisività e severità dal respiro sinfonico, tanto più ci appare scarno, quasi primordiale, Paolo Francese ha sfoggiato una chiarezza di fraseggio, una pastosità di suono e un’intensità espressiva che lasciava capire come l’artista fosse penetrato appieno dentro lo spirito di Beethoven. L’intera partitura si è giovata dell’alta padronanza dell’interprete nel far percepire chiaramente ogni singolo dettaglio della struttura armonica e formale della scrittura beethoveniana. Raffinato concertatore, abile nell’utilizzare tutte le possibili inflessioni dell’agogica, Paolo Francese ha eseguito il III concerto in modo alquanto fluido, non tralasciando gli episodi che, sbalzati plasticamente, segnano la via che proprio da questo concerto in avanti porteranno Beethoven a radicalizzare i contrasti dialettici, simbolo di quella libera espressione di un vitalismo, in cui una irruente forza dinamica sostituisce la levità mozartiana. Applausi per tutti gli straordinari musicisti dall’esigente e numeroso pubblico in sala.