di Vito Pinto
«Positano colpisce profondamente. E’ un posto di sogno che non vi sembra vero finché ci siete ma di cui sentite con nostalgia tutta la profonda realtà quando l’avete lasciato».
Così scriveva nel 1953 il Premio Nobel per la letteratura John Steinbeck nel suo ormai famoso articolo per la rivista americana Harpe’s Bazaar, parlando di quest’ultima località della Costa Diva dove il tempo, per tanto tempo, fu scandito dal cammino del sole: ci si alzava col canto del gallo e si andava a dormire con l’apparire della luna.
Ma tutto cambiò quando arrivò il signore dell’orologio che riattivò quello della chiesa parrocchiale che batteva le ore, e dopo che Steinbeck aveva pubblicato il suo articolo: la piccola cittadina cominciò a riempirsi di visitatori e i positanesi si adeguarono (senza tanti traumi) ad una diversa cultura di paese imposta dal turismo.
E se prima Positano era un sogno da vivere perché solitaria e accogliente, rifugio dalla storia per tanti esuli dai grandi totalitarismi del novecento, dopo divenne un sogno per il popolo vacanziero quale luogo da visitare e vivere, anche se per poche ore, come se fosse un luogo sacro dove andare per essere “in” nel contesto sociale.
Ma al di là degli affollamenti, una cosa appare certa e che fu sottolineata dal prof. Giuseppe Vespoli nella sua ponderosa “Storia di Positano” (edizioni De Luca, 1971): la bellezza del posto, «dove tutta la natura nella molteplicità delle tinte, ora marcate, ora evanescenti invita all’estasi dello spirito, facendo temporaneamente dimenticare le occupazioni e le preoccupazioni e trasportandoci in un mondo di dolci illusioni», cui contribuì non poco la mitica esistenza della sede delle Sirene che ammaliavano i naviganti con il loro canto e continuano, ancora oggi, ad ammaliare non solo turisti, ma soprattutto poeti, scrittori, artisti, pittori. Qui soggiornarono, nel secondo dopoguerra, pittori stranieri come Kurt Kramer, Bruno Marquardt, Ibrahim Kodra, Ivan Zagoruiko, Morgan Randal, Anita Rée, e gli italiani Luca Albino, Clemente Tafuri, Pietro Scoppetta, Antonio Ferrigno. E solo per citarne alcuni.
Tra gli ultimi in ordine di tempo è stato presente con sue mostre il cubano Vicente Hernandez ospitato nella Galleria d’arte e sapori “Mediterraneo” di Vincenzo Esposito, mecenate illuminato, il quale ha anche organizzato la mostra di Lorenzo Maria Bottari nei locali dell’Ufficio turistico del Comune di Positano, in esposizione dal 7 al 21 luglio.
Siciliano trapiantato a Pioltello, dove ha residenza e studio, Bottari lo scorso anno si segnalò particolarmente per una mostra dedicata a Salvatore Quasimodo del quale è stato riedito il suo “Elogio di Amalfi” contenente una incisione proprio di Bottari.
Il pittore siculo-lombardo ha conosciuto Positano grazie ad Ibrahim Kodra, pittore albanese incontrato in Sicilia, che da giovane giunse in Italia grazie ad una borsa di studio della sua mecenate, la Regina d’Albania, e non lasciò più il nostro Paese. Poi una breve visita su invito di Enzo Esposito, e Bottari cadde vittima del canto ammaliatore delle Sirene: la sua immaginazione, il suo senso immaginifico del mito e del sogno, si misero in fermento creando una serie di opere presenti nella mostra voluta dal sindaco di Positano, Giuseppe Guida, e dal delegato alla cultura, Giuseppe Vespoli. Ricorda il Sindaco che in tal modo Positano resta nel solco di un’antica tradizione che la vuole punto di riferimento di letterati, artisti, scrittori e uomini di varie culture.
Con i suoi dipinti e i suoi acquerelli, Bottari sembra ritornare indietro nel tempo, a quella natura prorompente di colori, “ora marcati ed ora evanescenti”, come scriveva il già citato professore Vespoli. La sua cifra stilistica, il suo deciso tratto colorico è certamente inconfondibile e sembra rifarsi a quella luminosità appartenuta ad Ibrahin kodra, che di certo gli indicò la strada per una lettura della vita magica che aleggia in questi luoghi di miti. E in questi suoi lavori su Positano, Bottari sembra risentire di quella dolcezza di vivere che era stata propria di quanti, nel secondo dopoguerra, giunsero in questa cittadina di mare per stemperare, nella quiete del luogo, le preoccupazioni di una guerra e le difficoltà di una ripresa nazionale certamente non facile. Scrive Massimo Bignardi nella presentazione in catalogo: «Fermarsi in questo luogo, sospeso tra la narrazione dei filosofi di Francoforte… e i nuovi protagonisti della cultura artistica e letteraria dell’immediato secondo dopoguerra, significava… vivere la felicità, cioè calarsi in un habitat costruito dall’uomo per l’uomo».
Così, seguendo il sogno, nei lavori di Bottari si coglie l’omaggio a Kodra, ma anche a Nureyev ad esaltazione del Premio della danza, e a Quasimodo con “Elogio per la costiera”. Emigra l’anima dell’artista dal sogno al mito, a richiamo di tritoni e sirene, solitarie o ad abbraccio di pescatore, anch’egli simbolo di un’ansa di costa che, prima di Steinbeck, viveva di pesca e di coltivazioni su per quei maceri che fecero la gioia di Maurits Cornelis Escher. Pensieroso è il clown di Bottari: ritorna in memoria quell’Arlecchino che Picasso, prendendo a modello il giovanissimo Leonid Mjassine, disegnò durante la permanenza a Positano alla torre Pentagonale di Gilbert Clavel, quando vi giunse al seguito dei “Balletti russi” di Sergei Diaghilev.
Poche opere, come si confà ad una mostra che vuole essere tale e che non intende affollare gli spazi di fruizione; ma una mostra dove il sogno, il mito, l’immaginifico si sospendono tra un paese verticale e il non lontano celeste del cielo, percorso di un artista che trova la sua sintesi in questo luogo dove il Tempo perde il ritmo del suo tempo.