PORTO O CITTÀ - Le Cronache Attualità
Attualità Salerno

PORTO O CITTÀ

PORTO O CITTÀ

Alberto Cuomo

 

Bisogna dare merito all’avvocato Antonio Cammarota, consigliere comunale per il gruppo “La Nostra Libertà”, da lui fondato, e presidente della Commissione Trasparenza del Comune di Salerno, se le questioni riguardanti il porto commerciale sono state esplicitate per l’informazione dei cittadini e per avviare sul tema un dibattito democratico. La scorsa settimana, infatti, si è tenuto presso la sala del consiglio della Provincia un convegno, organizzato proprio dall’avvocato Cammarota, su “Il porto di Salerno”  con la partecipazione del sindaco di Vietri, Giovanni De Simone, il direttore generale dell’Autorità Portuale mar Tirreno Centrale Giuseppe Grimaldi, il presidente della Gallozzi Group spa, leader dell’economia portuale commerciale e turistica, Agostino Gallozzi, e Vincenzo Napoli sindaco di Salerno e presidente della Provincia. Introducendo il tema l’avvocato Cammarota ha messo in luce come, da un lato, nella accertata utilità del porto, la crescita della movimentazione merci e passeggeri richiederebbe una revisione del suo assetto attuale, dall’altro, sia necessario non determinare una ipertrofia delle strutture portuali tale da danneggiare la nostra città. Nella consapevolezza che lo scalo salernitano non possiede aree di retroporto sufficienti ad accogliere la grande quantità di merci stoccate, ha quindi rilanciato la proposta di un nuovo grande porto a oriente, pure già prospettato in passato da esperti ingegneri di idraulica marina per conto del governo cittadino degli anni Ottanta di cui facevano parte sia Napoli che De Luca. Dopo l’intervento del sindaco di Vietri che ha lamentato, con il sostegno dei numerosi presenti, i danni ambientali alla sua città e all’intera costiera amalfitana da parte dell’allargamento del braccio di sottoflutto previsto nel masterplan progettato dall’Autorità portuale, e dopo l’analisi sui numeri delle varie attività portuali dell’architetto Giuseppe Grimaldi, serenamente il cavaliere Gallozzi ha ricordato come la disputa sulla localizzazione a est o a ovest fosse stata affrontata negli anni Settanta, al tempo dell’ampliamento dell’infrastruttura portuale, che giunse a privilegiare quella attuale, dicendosi non contrario a un nuovo porto ad est sebbene i tempi odierni necessitino di scelte rapide e una tale opzione, per i suoi tempi lunghi, non andrebbe incontro alle esigenze prossime. Tutti i numeri positivi del porto, non ultimo quello dell’occupazione di seimila addetti, solleciterebbero, secondo quanto ha sostenuto il sindaco Napoli, una “verifica” rivolta a constatare come esso sia la più grande azienda della provincia oltretutto, con nuovi motori per le navi, a inquinamento zero. E si, di fatto per il nostro porto non è stata mai affrontata una vera analisi dei costi e dei benefici sebbene potrebbe a lume di naso dirsi che, se i costi sono tutti a carico dei salernitani, meno palesi sono i benefici, sì che sia giusto farli conoscere. Del resto, mentre l’inquinamento zero è di là da venire, a proposito dei 6000 addetti, ad esempio, si espone un numero complessivo senza chiarire quanti siano quelli istituzionali, in presenza di ben 9 enti che comunque li terrebbero in loco, quelli per la crocieristica o per la pesca, l’ormeggio di natanti privati etc. laddove il Piano dell’Organico dei lavoratori delle Imprese Portuali al 2024 dedite al commercio e ai servizi, redatto dall’Autorità, espone numeri inferiori. In linea generale appare necessario distinguere, dal punto di vista urbanistico, tra città portuali e città con porto. Secondo i manuali una città portuale è “un insediamento urbano la cui esistenza, crescita e funzione sono storicamente e strutturalmente legate a un porto marittimo” come ben sa l’architetto Napoli e sembrerebbe non sapere l’Autorità portuale se progetta modificazioni che alterano la morfologia della città e il suo storico rapporto con la costiera. In questo senso Salerno, che non ha mai avuto un vero porto sino all’Ottocento, non è una “città portuale” e, pertanto, sarebbe oltremodo danneggiata in termini paesaggistici e ambientali dall’occupazione del mare da parte dei moli come è nel progetto approvato dall’Autorità portuale. Naturalmente non si può congelare il porto o la città. A Marsiglia, allorchè il porto necessitò di ampliamenti, si mantenne il vecchio porto legato al centro storico e si realizzò un nuovo porto in altro luogo. A Barcellona la revisione del porto ha condotto a realizzare un nuovo waterfront portuale con bar, servizi etc. e ciò si rende possibile solo in grandi città (v. Corradini-Marchetta). Secondo Giancarlo De Carlo ogni città ha un suo codice genetico e alterare un tale Dna urbano implica non solo un cattivo sviluppo futuro quanto anche il deterioramento delle relazioni sociali. A chi non ritiene possibile una delocalizzazione del porto si può obiettare che la nostra città ha già due porti e che l’Arechi è già un “porto-isola” con un gran retroterra, sì da essere tale da potersi ingrandire mediante un uovo molo di sopraflutto onde accogliere i grandi numeri del commercio. Questa la vera sfida della “città europea”, un nuovo waterfront a oriente per il commercio portuale intersecato da servizi, con un ampio retroporto, accessi ferroviari (v. la vicina metropolitana) e autostradali e, altresì, un nuovo waterfront a occidente con la riconversione del porto commerciale in turistico con hotel, ristoranti etc. Ma per tale sfida bisognerebbe essere veramente “europei”.