Nei giorni scorsi Claudia Pecoraro, Vicepresidente del Consiglio Comunale e Capogruppo dei Cinque Stelle, ha fatto una denunzia che non lascia scampo al progetto delle rampe di accesso dal Porto all’Autostrada. Non solo per l’innegabile sconquasso paesaggistico che sarà dato dalla teoria di immense colonne di cemento armato che deturperanno per sempre il paesaggio di Salerno dal Lungomare fino al Castello di Arechi (a proposito, cosa ha detto la Soprintendenza al Paesaggio su questo scempio?); ma soprattutto per l’incredibile quantità di difetti progettuali che rendono sin da ora impossibile la costruzione se non inventando man mano le varianti progettuali. Pecoraro ha elencato una serie di errori, a partire dal raggio di curva dei tornanti dei piloni che rendono pazzesca la percorrenza e le svolte dei tir sulle rampe. Ciò nonostante, la Giunta si è apprestata a portare in Consiglio Comunale il programma di espropri che dovrebbero rendere possibile l’inizio dei lavori. Ma guardiamo più analiticamente la vicenda: da anni l’Ingegnere Bottiglieri, ex Ingegnere Capo del Comune, nonché rappresentante di Italia Nostra, tuona contro l’assurdo di questo progetto, che rappresenta un danno permanente per la parte più bella dell’immagine della città. Ma a Claudia Pecoraro sono arrivati suggerimenti tecnici di livello e particolareggiati sullo scempio progettuale che si vuole realizzare, pur di spendere decine di altri milioni di euro oltre quelli inutilmente già spesi. Suggerimenti che colpiscono in radice il progetto definitivo dell’opera, definito dalla Pecoraro un “progetto irricevibile”! Qui è il punto nodale della faccenda, peraltro più volte segnalato dalle colonne di Cronache. Il progetto definitivo pieno di errori e incongruenze è, diciamolo subito, un progetto irrealizzabile. E’ evidente che prima di pronunziare le sue parole di fuoco, Pecoraro ha consultato ingegneri e tecnici capaci. Ma adesso vediamo, nella sostanza, quali inevitabili conseguenze devono per forza derivare dalla vera e propria denunzia pubblica di Pecoraro. E’ verosimile che quanto detto oralmente dal rappresentante di Cinque Stelle finirà presto in un vero e proprio esposto alla Procura della Repubblica. Che conosce bene il suo mestiere, e sa che su una denunzia particolareggiata deve indagare. Ora, se Pecoraro ha detto che il progetto “definitivo” è irrealizzabile, e ne ha indicato i motivi, la Procura della Repubblica deve verificare, attraverso tecnici scelti, se le critiche corrispondono al vero. Vediamo che cosa è un PROGETTO DEFINITIVO. E’ un progetto dettagliato in ogni suo particolare, che permette l’inizio dei lavori e utilizza, quindi, dal primo mattone, i fondi pubblici stanziati. Per cui l’attestazione dei progettisti dell’opera che il loro progetto è qualificato come “definitivo” è una assunzione di responsabilità sulla veridicità di quanto attestato. Qual è l’iter di questo procedimento per l’avvio dei lavori? Il progetto passa agli Uffici Tecnici del Comune per l’iter burocratico. Fase in verità delicata, non sempre accuratissima che richiederebbe uno staff numeroso di tecnici e ingegneri comunali in grado di esaminare in tempi brevi, e nel dettaglio, progetti spesso enormi per volume cartaceo. Forse, per questa carenza di uomini e risorse troppi progetti nei Comuni passano il vaglio tecnico senza puntigliosi riscontri. Non sappiamo se questo sia stato il caso. Ma comunque, dopo l’esame degli Uffici Tecnici Comunali, il progetto va in Giunta che, sul responso dell’Ufficio Tecnico, attesta in delibera di approvazione (che è atto pubblico) che il progetto è “definitivo”. E qui casca l’asino. I poveri assessori, con questo atto che definisce “definitivo” il progetto, si imbarcano in un bel rischio. Se dalle verifiche della Procura (che vaglia attraverso tecnici che non possono essere che competenti, visto quanto c’è in ballo) risulta che il progetto non è “definitivo”, la delibera di Giunta che lo ha approvato ha attestato una cosa non corrispondente al vero. Dare in un atto pubblico per vera una cosa che non è tale comporta inevitabilmente una violazione dell’art. 479 c.p. – 476 c.p., cioè una falsità ideologica in atti pubblici punita con la reclusione da uno a sei anni. Per non citare la conseguente truffa aggravata alle finanze pubbliche. Ma, se gli amministratori pubblici si difendessero dimostrando di essere stati ingannati dalla falsa attestazione dei progettisti, si salverebbero, mentre incastrati rimarrebbero i progettisti furboni ai sensi dell’art. 48 c.p. – 479 – 476 c.p. Cioè del falso comunque risponderebbero questi ultimi per induzione in errore del pubblico ufficiale. In un caso o nell’altro, il progetto comunque salta. Sarebbe folle portarlo avanti (il ponte di Genova urla vendetta ancora). Ecco qual è adesso lo scenario che si prospetta a breve. Seguiremo passo per passo l’evoluzione di questa vicenda esplosiva di cui la benemerita Consigliera Claudia Pecoraro ha acceso la miccia.





