La disperazione degli operai prende possesso delle Fonderie Pisano, un epilogo drammatico per la vicenda, che vede ora protagonisti i dipendenti, che hanno letteralmente occupato la sede in via de’ Greci. Dalla mattinata di ieri e per tutta la giornata, compresa la notte, gli operai non hanno fatto altro che far sentire la loro voce. Dopo la comunicazione da parte dei vertici dell’azienda dell’avvio della procedura di messa in mobilità di tutti i dipendenti, alcuni operai hanno occupato il tetto della fabbrica, mentre altri si sono incatenati davanti l’ingresso del fabbricato, continuando ad oltranza la protesta. Sono 120 gli operai che rischiano il licenziamento. E con loro altrettante famiglie, che si dicono pronte a lottare insieme ai propri cari, nella speranza che quanto prima si giunga ad una maggiore stabilità economica e lavorativa per tutti. “È da fine marzo che la situazione è andata sempre più peggiorando”, dichiara un operaio, attivo da più di 8 anni all’interno dell’azienda, che ha spiegato: “Prima con la produzione a singhiozzo, poi con il fermo dello stabilimento a partire dal giugno scorso, la situazione è diventata pressoché insostenibile. In questo modo l’azienda ha perso il 60% delle commesse, e per quanto possa dirsi pronta alla delocalizzazione, venendo a mancare la materia prima, i clienti, questa è diventata la soluzione più semplice”. E come spiega la sigora Angela Petrone, moglie di un operaio che durante la mattinata di ieri si è incatenata davanti ai cancelli dell’opificio, non cedendo a nessuna richiesta: “Il lavoro era la nostra unica sicurezza. Una sicurezza che, però, negli ultimi tempi, si è andata sempre più dissolvendo, così come la possibilità che un’eventuale delocalizzazione potesse risolvere i mali e le perdite finanziarie a cui l’azienda stava ormai andando incontro, da troppo tempo. Abbiamo avuto fede fino all’ultimo che qualcosa potesse cambiare, o che qualcuno potesse intervenire in nostro aiuto”. Una situazione resa ancor più tragica, dal silenzio della politica e delle istituzioni locali davanti a tutti questi possibili licenziamenti, che causerebbero forti ripercussioni sociali su un territorio già alle prese con una crisi economica e occupazionale senza precedenti. “Siamo stati abbandonati a noi stessi. Terminato il periodo elettorale le istituzioni sono scomparse”, spiega Angela Petrone. Rabbia e rammarico, ma soprattutto la tristezza negli occhi di donne e madri, che ora sentono ancora di più il peso di dover portare avanti una famiglia da sole probabilmente. I sindacati, sempre accanto ai lavoratori non hanno mollato l’idea di sedersi attorno al tavolo Ministeriale a Roma per parlare ancora una volta di delocalizzazione e poter avviare le procedure che dovrebbero tenere in vita i dipendenti: “Abbiamo chiesto ed ottenuto l’incontro per il 27 settembre, così da poter almeno attivare degli ammortizzatori sociali per la sopravvivenza di queste famiglie. Avevamo anche chiesto di poter attendere ancora alla proprietà che però non ha potuto fare altrimenti”, hanno dichiarato Francesca D’Elia e Anselmo Botte, che ora insieme a tutti i dipendenti dell’opificio e insieme alle loro famiglie attendono che l’incontro vada a buon fine. La notte dei lavoratori delle Fonderie sarà dunque lunga. E chissà se non ce ne saranno altre.
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