Di Federico Sanguineti
Esiste a Torino una via Bussoleno, che (salvo errore da parte di chi scrive) in piemontese vorrebbe dire «biancospino». Questa via assume tale denominazione da una località della val di Susa, a ovest del capoluogo piemontese, denominata nel lontano 1001 «Buceletum», possedimento, stando a un diploma di Ottone III, del marchese Olderico e, nel corso dei secoli, di famiglie come gli Aprili, i Giusti, i Ferrandi, i Bartolomei, i Pascali, i Barberi, i Visconti di Bardonecchia, i Calvi d’Avigliana, i Vagnoni di Truffarello, per non parlare dei Bernezzi di Vigone, dei Versoy della Borgogna, del marchese Bobba o di Francesco Fiocchetto di Vigone e via discorrendo, fino ad arrivare al commissariamento prefettizio nell’anno 2022. Ora, mentre a Bussoleno località (dove si raccomanda, se possibile, di far sosta al Museo del trasporto ferroviario attraverso le Alpi) ci si arriva per la Via Francigena (che tocca cinque stati, sedici regioni e oltre seicento comuni), a quella via Bussoleno che invece è sita in Torino non lontano dal Mercato di Corso Racconigi si giunge, partendo dalla stazione di Porta Nuova, in poco più di mezz’ora. Ed ecco, al primo piano del numero 8, il monolocale in cui L. abita prima del matrimonio: chi capita sul pianerottolo prende la prima porta a destra e, superata la soglia, sulla sinistra intravede una stanzetta e, dal lato opposto, una cucina. Il locale, nel complesso, è senza acqua calda e senza bagno, ma non manca di un lavandino. Inoltre, è dotato di un cesso alla turca (carta igienica composta da ritagli di fumetti, giornali e riviste), accessibile dal balcone che dà sul cortile interno all’edificio. Nella stanzetta, adibita a dormitorio, ci sono quattro letti, uno dei quali (diviso da un separé di cartone) è per la madre di L., mentre gli altri sono per tre figli maschi. Isolata dal resto, L. all’interno della cucina ha, direbbe quasi Virginia Woolf, uno spazio per sé, vale a dire un letto seminascosto, come in un labirinto, dietro un cartongesso con vetrata a buccia d’arancio. Va precisato che questa condizione sottoproletaria è dovuta alla morte del padre e del nonno di L., entrambi imprenditori, ingegneri e inventori. Il nome del nonno, F. G., è ben presente in Internet, dove si trovano notizie di Motociclette e Motori G. con raffreddamento ad acqua. Una meraviglia, in particolare, è la moto 1000 cm3 4 cilindri: prodotta nel 1923, dieci anni prima della nascita di L. Ma il padre del padre di L. costruisce la sua prima moto fin dal 1903, in una officina di Alba, cittadina a sud di Torino nota per il tartufo bianco: monocilindrica, manca tuttavia delle successive novità tecniche. In seguito, F. G. si dedica alla fabbricazione di valvole per aerei militari ma, al termine della Prima Guerra Mondiale, tornata la passione motociclistica, crea un due ruote che può raggiungere i 125 chilometri orari, la cui originalità consiste nel suddetto motore con raffreddamento ad acqua. Senza entrare nei dettagli del tracollo economico dovuto al lutto familiare, non è difficile immaginare il sogno della giovane L. rimasta orfana: compensare il dramma, sognando una famiglia sua. Ma quale? La più veloce delle soluzioni sarebbe trovare un genio incompreso: se non un ingegnere in motocicletta, almeno un inventore su cui scommettere il tutto per tutto e di cui divenire la Musa. Un inventore di versi è l’ideale e così, grazie a una cugina amica di un giovane poeta, L. trova l’amore della propria vita in un essere che finalmente lei cerca (si vedrà nella prossima puntata) di trasformare in un uomo in carne e ossa.