Pillole per una nuova storia letteraria 058 di Federico Sanguineti - Le Cronache
Editoriale

Pillole per una nuova storia letteraria 058 di Federico Sanguineti

Pillole per una nuova storia letteraria 058 di Federico Sanguineti

Tema. La mano femminile. Svolgo.

 

 Di Federico Sanguineti

Della mano di Beatrice nulla sappiamo. Per celebrare una mano femminile, occorre attendere Petrarca, la cui Laura, spiega Germaine Greer in L’eunuco femmina (The Female Eunuch, 1970),“non era la moglie del suo signore, ma la moglie di un suo pari, cittadino di una città-stato che aveva una struttura burocratica e non gerarchica”, sicché il poeta di Laura realizza “il passaggio dell’amore cortese dal castello alla comunità urbana”. In questa aristocratico ridimensionamento dell’eros si spiegano due sonetti accostati nel canzoniere petrarchesco (R. V. F. 199 e 200): O bella man, che mi destringi ’l coreNon pur quell’una bella ignuda mano… Si afferma così il feticismo borghese, espresso nel desiderio, più o meno inconscio, di baciare di Laura il “piede, o la man bella e bianca” (R. V. F. 208, v. 12). Basti evocare, a riguardo, il canzoniere petrarchesco di Giusto de’ Conti, non a caso intitolato La bella mano, dove è dato leggere sonetti come O man leggiadra, ove il mio bene alberga… Oppure: O bella e bianca man, o man soave… Non occorre ricordare la “man d’avorio” del paradigmatico sonetto di Bembo, Crin d’oro crespo e d’ambra tersa e pura. Così feticizzata, ogni donna si riduce a figura femminile, la cui mano ormai diventa (nell’era dell’imperialismo) anonima con il Poema paradisiaco (1893) di D’Annunzio, merce di retorico collezionismo da parte del cosiddetto poeta superuomo: “Le mani delle donne che incontrammo…”. Nelle Fiale di Govoni (1903) questo feticismo è oggetto di scherno nel sonetto squisitamente intitolato Culto di mani. Ma, in una storia poetica delle mani femminili, occorrerebbe dare altresì spazio alla mano di una ragazza proletaria cantata da Leopardi (la “man veloce” di Silvia che “percorrea la faticosa tela”); e, prima ancora, a quella di colei che scrive, per l’anagrafe Elena Lucrezia Cornara Piscopia, conosciuta come la prima donna al mondo proclamata dottoressa (in quanto si laurea all’Università di Padova nel 1678, precisamente l’anno in cui Madame de la Fayette pubblica il maggiore romanzo europeo di ogni tempo, La princesse de Clèves). A lei la poetessa Faustina degli Azzi ne’ Forti dedica un sonetto, incluso poi nel Serto poetico (1697): “Mentre Lucrezia con la man sicura / di Sofia su le carte il fil volgea, / del genio, che nutria la dotta Idea / un saggio diè, fin dall’età immatura…” (p. 68). Esempio di sorellanza, una scrittrice celebra la mano dell’altra, entrambe non più oggetto, ma soggetto di cultura, realizzando il sogno di Cristina da Pizzano, la messa in atto di una città delle dame. A questo punto, in poscritto, non resta che ricordare Amalia Guglielminetti, la quale per contrappasso, nella raccolta Le seduzioni (1909), celebra invece, in terzine dantesche non prive di ironia, la mano maschile: “Era una mano ambigua, di pallore / femineo, di linea virile: / mano bella di dolce ingannatore”. Per chi finalmente intenda decifrare l’oscuro oggetto di tale desiderio femminile, si rinvia allo studio di Annik Houel, intitolato Le roman d’amour et sa lectrice (1997).