Tema. Ariosto e Marinella. Svolgo.
Di Federico Sanguineti
Nella prima ottava del XX canto dell’Orlando furioso, Ariosto torna a evocare le “donne antique” con cui, fin dall’inizio, si apre il suo Poema (“Le donne…”), ma lo fa per celebrarne, questa volta, i risultati in ogni settore della vita sociale. Sono pertanto richiamate in vita le imprese da loro realizzate, la cui fama “in tutto il mondo si diffuse”. Accanto ad eroine acclamate nell’Eneide virgiliana (libri I e XI), come la principessa di Tracia che combatté contro Neottolemo e la indimenticabile regina dei Volsci (“Arpalice e Camilla son famose”), sono soprattutto ricordate Saffo e Corinna: “perché furon dotte, / splendono illustri, e mai non veggon notte”. Quindi, prosegue il poeta ferrarese: “Le donne son venute in eccellenza / di ciascun’arte ove hanno posto cura; / e qualunque all’istorie abbia avvertenza, / ne sente ancor la fama non oscura. / Se ’l mondo n’è gran tempo stato senza, / non però sempre il mal influsso dura; / e forse ascosi han lor debiti onori / l’invidia o il non saper degli scrittori”. A denunciare in ogni dettaglio, sull’onda di questa premessa, l’invidia e l’ignoranza maschili, è l’autrice del trattato Della nobiltà ed eccellenza delle donne, co’ diffetti e mancamenti degli uomini (1600, 1621). Ma Lucrezia Marinella, non limitandosi a questo, giunge persino a emulare e gareggiare con Ariosto, dando alla luce un poema epico non meno singolare. Se all’uno si deve l’invenzione di un Orlando che impazzisce per amore, all’altra si deve, invenzione persino più sorprendente, il capolavoro dell’epos barocco: Amore innamorato et impazzato, dato alle stampe a Venezia nel 1598, di cui è disponibile in Internet l’edizione del 1618, arricchita di Argomenti e Allegorie, dedicata a Caterina de’ Medici. In questo capolavoro, antecedente l’Adone di Marino (pubblicato a Parigi nel 1623), non è più Orlando a impazzire, ma l’alato dio d’Amore che, salito in superbia per il potere da lui esercitato su dèi e mortali, subisce il paradossale contrappasso, fino a impazzire, di innamorarsi egli stesso. In tale ineguagliabile gioco barocco, fin dalla prima ottava non possono mancare allusioni ariostesche: “Come vinto da sdegno il gran Tonante [cioè Zeus] / piagasse Amor d’amor tropp’aspro, io canto, / canto di lui, ch’è d’Amor fatto Amante, / le lagrime, i sospir, le pene e ’l pianto; / come fastoso a i Dei novo Gigante / d’imperar, di regnar, si diede vanto, / come già per amar pazzo divenne, / si stracciò il crin, si svelse l’auree penne”. Evidenti le riprese ariostesche: “io canto” e “si diede vanto” rinviano a O. F. I 1 (“io canto” e “si diè vanto”); “vinto da sdegno” a O. F. XXX 60 (“vinto da sdegno si gittò lontano”); “come già per amar pazzo divenne” a O. F. XIV 42 (“Esser per certo déi pazzo solenne”). Ma, più significativa ancora, disvelando il carattere androgino di Amore, è la fusione della disperazione di Ginevra con quella di Orlando: “si stracciò il crin, si svelse l’auree penne” presuppone, insieme a O. F. V 60 (“… si stracciò la stola, / e fece all’aureo crin danno e dispetto”), anche XXIII 132 (“e maglie e piastre si stracciò di dosso”). Altre riprese non solo ariostesche, ma dantesche, petrarchesche e tassiane sono evidenziate dalla dottoressa Angela Donatiello nella tesi di laurea triennale in Filologia italiana (relatore il sottoscritto) dal titolo Per l’edizione del primo canto dell’opera ‘Amore innamorato et impazzato’ di Lucrezia Marinella Università degli Studi di Salerno, a. a. 2017-2018, a dimostrazione finalmente che una tesi di laurea non è per forza di cose un ozioso lavoro compilativo.