Dosi Grati scrittrice di teatro
Di Federico Sanguineti
Nel Calendario di donne illustri italiane scritto da Rosalia Amari e pubblicato a Firenze nel 1857, si legge che nel 1735, in data 6 gennaio, muore Isabella Maria Dosi Grati; quindi, per l’occasione, se ne traccia rapidamente un profilo biografico accompagnato da giudizio critico: “Fu bolognese, e figlia del conte Giuseppe Dosi. Sortì da natura raro ingegno e poetica fantasia: coltivando queste preziose doti riuscì buona poetessa, ed ebbe fama di letterata non volgare. Di lei ci rimangono alcune poesie, e molte commedie, che meritano lode per la naturalezza dei caratteri, e talvolta per piacevoli situazioni drammatiche. Le si dovrebbe il titolo di Goldoni delle donne, se meglio non l’avesse meritato una sua contemporanea Elisabetta Caminer-Turra. Isabella è meglio conosciuta sotto il nome di Dorigista, anagramma di Dosi Grati, che davasi per vezzo nelle sue opere”. Lasciando per il momento da parte Caminer-Turra (1751- 1796), traduttrice di opere teatrali (ma soprattutto giornalista), occorre fare i conti con il femminicidio culturale instauratosi da De Sanctis in poi e ancora oggi dominante. Non sorprende che, mentre il nome di Goldoni (1707-1793) è noto, quello di Dosi Grati sia completamente cancellato tanto nella storiografia letteraria che in quella teatrale. Si deve attendere il 2020 perché uno studioso, Javier Gutiérrez Carou, inserisca nella collana ‘Biblioteca Pregoldoniana’, facendola precedere da un saggio critico, la commedia intitolata Ingannano le donne anche i più saggi (1707). A dimostrare che Dorigista è più moderna del pur cronologicamente successivo Goldoni, basterebbe un capolavoro come La povertà sollevata e l’invidia abbattuta (1726), pubblicata quando Goldoni non è neppure ventenne. Protagonista è Porfiria, giovane perseguitata dal cavaliere Fabrizio (che, tramite il lacchè Lisetto, esige soldi da lei) e dall’invidiosa Fillonia. Ma, con l’aiuto di Callinfa, sua confidente, Porfiria soccorre Flaminia, sorella di Alfonso, il quale, rinunciando per amore di Porfiria al proprio maschilismo (il cosiddetto onore patriarcale), consente alla sorella di unirsi a chi vuole e a se stesso di sposare Porfiria. A differenza della Mirandolina della Locandiera (1752) di Goldoni (commedia che è di almeno un quarto di secolo successiva), la donna al centro dell’opera di Dosi Grati non è corteggiata da tutti (dal nobile squattrinato marchese di Forlimpopoli al mercante arricchito conte di Albafiorita), né tantomeno deve abbassarsi a recitare una strategia di seduzione per abbattere la misoginia imperante e conquistare abilmente il cavaliere di Ripafratta. Protagonista della commedia di Dorigista, più che una singolare figura femminile, è infatti il legame di sorellanza che concretamente si instaura, alla luce del sole, fra Porfiria e altre donne, in particolare Flaminia. In tal modo l’opera di Dosi non si limita a mettere l’accento su un’astratta parità di genere, bensì, in modo inedito, presagisce la sconfitta del patriarcato. Questa prospettiva è tanto più moderna in quanto la commedia, composta nella prima metà del Settecento, è ambientata in un mondo del tutto borghese, dove il denaro, in ogni sua forma, è, fin dalla prima scena, continuamente sulla bocca di tutti, vale a dire personaggi di ogni sesso e di ogni classe sociale. Si tratta dunque, diremmo oggi, di un’opera femminista nel senso più alto, definibile nei termini chiariti da bell hooks: il femminismo, in quanto rivoluzionario, non si accontenta di una riforma, ma mira a mettere fine al sessismo, allo sfruttamento sessista e all’oppressione.