Pillole per una Nuova Storia Letteraria 031 di Federico Sanguineti - Le Cronache
Editoriale

Pillole per una Nuova Storia Letteraria 031 di Federico Sanguineti

Pillole per una Nuova Storia Letteraria 031 di Federico Sanguineti

Insegnare la storia letteraria

 

Di Federico Sanguineti

Nel De brevitate vitae Seneca lamentava il diffondersi del vuoto studio di cose superflue, più o meno ciò che oggi si chiamerebbe “nozionismo”: “Romanos invasit inane studium supervacua discendi”. E chissà che cosa direbbe oggi il filosofo stoico di fronte all’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Educativo di Istruzione e di Formazione, con relative prove INVALSI che coinvolgono più di due milioni di studentesse e studenti, per non parlare di test di accesso universitari, CFU e quant’altro. Sulla scia di Seneca, nella ‘Monarchia’ anche Dante (poeta, ma pure, più che “padre della lingua”, maestro di pedagogia) non esita a sottolineare l’inutilità di dimostrare un teorema di Euclide se già dimostrato dal matematico greco, di indicare la via della felicità se già indicata da Aristotele o di difendere la vecchiaia se già difesa da Cicerone. Che vantaggio si ricaverebbe a rifare il già fatto? Nessuno, dato che una siffatta inutile noia recherebbe solo fastidio: “Nullum quippe, sed fastidium etenim illa superfluitas tediosa prestaret”. Ci si chiede allora se la didattica che si svolge spiegando “ex cathedra” abbia ancora senso. Il copione è fin troppo noto: si replica laicamente, dal lunedì al sabato, in un’aula più o meno affollata o in DAD, quanto accade la domenica in chiesa, con una prof o un prof che si avventurano dal pulpito in una predica dove, se va bene, spiegano un autore (raramente un’autrice, perché i classici, quelli “sacri”, non son scritti da donne), in una sorta di “messa”, cui seguirà l’interrogazione (confessione) dei discenti fedeli che vengono promossi (assoluzione) o rimandati (invito a una penitenza) o addirittura bocciati (condanna all’inferno). Non sarebbe il caso di pensare a un’alternativa? Lo suggerisce, per esempio, Gerald Graff, professore all’università di Chicago e fondatore di “Teachers for a Democratic Culture”, nonché ideatore di una pedagogia consistente, per dirla in una formula, nell’insegnare i conflitti culturali: Teaching the Conflicts è il titolo di un suo libro (che meriterebbe di essere tradotto in italiano). L’idea che si debba insegnare non un “pensiero unico” ma la pluralità delle controversie, come l’autore racconta, è nata per caso, nell’ascoltare la discussione fra colleghi: quando, un giorno, di fronte a un anziano professore che lamentava che una data poesia risultava incomprensibile a ogni discente, una giovane collega si schierò dalla parte delle studentesse e degli studenti, affermando che, proprio per il modo in cui la poesia le era stata presentata a scuola, lei stessa aveva sviluppato un odio per la letteratura, che solo dopo anni è riuscita a superare. Di fronte al professore che replicava difendendo quel testo come un capolavoro della “tradizione occidentale”, la professoressa dichiarò: “Il fatto è, caro mio, che quello che tu pensi sia un’espressione umana universale è semplicemente un’esperienza maschile presentata come se fosse universale”. La conclusione non può che essere sottoscritta: mentre Graff osservava i due colleghi agitarsi, pensò che se studentesse e studenti avessero potuto ascoltarli non mentre parlavano “ex cathedra”, ma lì, quando si animavano fuori scena, si sarebbero finalmente interessati alla letteratura.