Adolescenti e storia letteraria
Di Federico Sanguineti
Non solo le storie letterarie sono indirizzate principalmente a un pubblico giovanile, ma tutte e tutti siamo, a scuola e all’università, forse fin troppo informati sullo “studio matto e disperatissimo” confessato, in una lettera a Giordani del 2 marzo 1818, da Leopardi, il quale, giovandosi di sedici migliaia di volumi presenti nella biblioteca paterna, a quattordici anni già traduce Orazio e scrive versi; e, l’anno successivo, compila addirittura una Storia dell’astronomia dalla sua origine fino all’anno MDCCCXI (1813). Meno noto, poniamo, è che, nel 1802, un altro ragazzo, a diciassette anni, pubblica un sonetto in cui, dopo aver accostato il destino di Lomonaco (che morirà suicida nel 1810), a quello di Dante, entrambi migranti, inveisce contro un paese (“in questa di gentil alme madrigna”, v. 8) che, senza sosta, condanna chi è eccellente a venir prima oppresso in vita e poi inutilmente celebrato post mortem: “Tal premii, Italia, i tuoi migliori, e poi / che pro se piangi, e ’l cener freddo adori, / e al nome voto onor divini fai?”. A tale domanda retorica segue (sempre in sirima) la conclusione, dove è disegnato il ritratto di un luogo “di dolore ostello” (direbbe Dante), perennemente schiacciato da eserciti stranieri: “Sì da’ barbari oppressa opprimi i tuoi, / e ognor tuoi danni e tue colpe deplori, / pentita sempre, e non cangiata mai”. La lirica è di Manzoni, che, vent’anni dopo, illustrerà nella tragedia Adelchi (1822) come, da Longobardi e Carlo Magno in poi, l’Italia sia un paese, per responsabilità delle sue classi dominanti, perennemente privo di libertà (e, ancora oggi, occupato da basi militari statunitensi). Ma se le storie letterarie ricordano il nome dei “migliori”, quale destino tocca a donne che, anch’esse durante l’adolescenza, hanno dato il meglio di sé? Fra quelle scritte negli ultimi due secoli, nessuna storia borghese della letteratura evoca Isotta Nogarola (1418-1466) che, vissuta in età umanistica, già a sedici anni conosce il latino al punto di rivolgersi a Ermolao Barbaro con una lettera non priva di ricercatezze: si apre con una citazione dal Satyricon di Petronio. Di questa e di altra scrittrice (fra loro in corrispondenza reciproca nel 1443), dà notizia Tiraboschi nella sua Storia della letteratura italiana, quando, a proposito di Costanza da Varano (1426-1447), rammenta che a quattordici anni recitò una orazione in latino, la cui fama “si sparse per tutta l’Italia”; e, ancora, segnala Ippolita Sforza (1445-1484), “dotta nella lingua greca e in ogni genere di amena letteratura”, di cui si rammentano “due orazioni latine da lei recitate”: una in lode della madre, la duchessa Bianca Maria Visconti, e “l’altra in Mantova innanzi al pontefice Pio II”. Nei Commentarii il papa stesso, l’umanista Enea Silvio Piccolomini, ricorda il discorso della principessa quattordicenne al concilio del 1459, pronunciato “eleganter ut omnes qui aderant in admirationem adduxerit”. Se non ci si libera dalla censura presente nella storiografia borghese, si rimane complici di falsificazioni ideologiche, di sessismo e di razzismo; in breve, di una colonizzazione maschile del femminile analoga a quella fra Nord e Sud denunciata da Gayatri Chakravorty Spivak (statunitense ma di origine bengalese): “Mentre il Nord continua apparentemente ad ‘aiutare’ il Sud ‒ così come in precedenza l’imperialismo ‘civilizzava’ il Nuovo Mondo ‒ l’apporto cruciale del Sud nel sostenere lo stile di vita del Nord, famelico di risorse, è forcluso per sempre” (A Critique of Post-Colonial Reason: Toward a History of the Vanishing Present).