L’ artista si mette a nudo in questo catalogo edito dalla Paparo, raccontando per immagini il suo lungo periodo creativo dedicato al cornetto
Di Olga Chieffi
Salerno ha conosciuto i cornetti di Pietro Loffredo più di un lustro fa, tra le pietre del Castello d’Arechi, un viaggio sulle tracce fortuna, impreziosito da corvi, e angeli neri, pesci, ai quali in seguito si sono aggiunti i tori, che hanno attraversato l’intera Europa, dalla Spagna a Berlino, da Bastia a La Valletta, da Tunisi a Parigi. Da qualche giorno, è disponibile in tutte le librerie online, un catalogo pubblicato dalla casa editrice d’arte Paparo di Napoli, che si propone di offrire un’antologia dell’opera dell’artista Pietro Loffredo, il quale si mette “a nudo” attraverso i lavori realizzati tra il 1998 e il 2015, anche attraverso l’immagine di copertina, firmata da Corradino Pellecchia, che lo ritrae ricoperto solo da un corno, sua icona da oltre vent’anni, un indizio che è Pietro l’amuleto di se stesso. Aprendosi a nuove ricerche espressive e tematiche, l’artista ha attuato in questi anni una svolta radicale rispetto al percorso artistico precedente, durante il quale erano le “figure angeliche”, tormentate e respinte dalla società, a essere raffigurate in acrilico su tavola. Dal 1998, il cornetto è divenuto protagonista assoluto, iconica espressione di un ideale e, al contempo, capace di raffrontarsi con altri talismani, con realtà altre, spazianti dal Mediterraneo alla Mitteleuropa. E’ il corno, effigiato da Pietro Loffredo, quello in corallo rosso, le cui origini e leggende si perdono nella notte dei tempi, che entra a far parte del mistero che avvolge da sempre gli abissi del nostro animo, simbolo di mistero esso stesso. Il rosso del corallo, quel “corno” in nuce strappato all’ignoto, il colore demoniaco, la sua origine mitologica contribuirono a formare il culto del corallo, che era prezioso quanto l’oro, ma più importante di questo, perché al valore venale aggiungeva il potere apotropaico. Per più di dieci secoli il corallo fu panacea in tutti i mali e sinonimo di ricchezza: in medicina, nell’edilizia, nell’oreficeria e nell’arte, sia per ricavarne oggetti sacri che per trasformarlo in simboli scaramantici e fallici, appunto il corno.
Ne furono dotati i bambini, guarnite le chiese e le gallerie private, fu dato ai morti perché li accompagnasse nell’aldilà, usato per ornamento femminile, come afrodisiaco, o mezzo propiziatorio nei riti induisti. Il corallo, quindi, racchiude in sé tutte le magie ed è amuleto degli amuleti, talismano dei talismani, esso è un toccasana generale. Un cornetto di corallo è stato trovato nel corredo funebre di una tomba (scoperta alle pendici del monte Erice) che si fa risalire al primo millennio a.C. e custodito nel museo comunale della vetta. Furono i Romani che, assorbendo antiche tradizioni di provenienza orientale, diedero il maggiore impulso all’impiego del corallo come scongiuro ed esorcismo contro il fascinum. Questa credenza si materializzò nel fallo che portavano appeso al collo i bambini a difesa dal malocchio e dal genio del male, e le donne come emblema della forza generativa e della fecondità. Pietro Loffredo ha offerto con le sue creazioni, dignità artistica al celebrato corno rosso, ispirandosi ai colori, agli oggetti e alle credenze dei vari paesi europei: accoppiandolo al toro, per la Spagna, ai pesci per i paesi africani del mare nostrum, ai corvi per quelli mitteleuropei; d’altra parte l’arte opera necessariamente per simboli e metafore; vive di irrealtà visibili, che Pietro Loffredo rende con tratto di una purezza estetica che trae il proprio senso profondo proprio dall’unico processo oggi consentito all’arte: quello della mescolanza critico-fantastica contro gli spurghi dell’immane fabbrica di sporcizia di orrore e di idiozia, di sopruso e di inganno del mondo che viviamo e che consegniamo alle future generazioni.