Giuseppe Cricenti*
Nei giorni scorsi è iniziata la raccolta delle firme per richiedere il referendum confermativo della legge di riforma sulla giustizia, anche il referendum è stato già ammesso su richiesta di un quinto dei membri del Parlamento. L’art. 138 della Costituzione prevede, infatti, che le leggi di revisione della Costituzione << sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali>>. Sulla base di tale norma, un quinto dei membri della Camera ha dunque fatto domanda, ed il referendum è stato ritenuto ammissibile dalla Corte di Cassazione. Secondo una parte della opinione pubblica, tendenzialmente coincidente con i sostenitori del NO, nonostante uno dei soggetti legittimati abbia già fatto richiesta, il Consiglio die Ministri non può fissare la data del referendum, ma deve attendere che trascorrano interamente i tre mesi previsti dall’art. 138 della Costituzione , perché nel frattempo, un altro dei soggetti legittimati (cinquecentomila cittadini o cinque consigli regionali) faccia a sua volta la richiesta del referendum. Ma questa tesi mi pare discutibile. In realtà, sia la lettera che lo scopo della norma costituzionale sembrano chiari: il referendum confermativo può essere chiesto o dall’uno o dall’altro dei soggetti legittimati, può essere chiesto cioè, alternativamente da un quinto dei parlamentari, dai cittadini o dalle regioni. Il che lascia intendere che è sufficiente che sia chiesto da uno solo di costoro perché debba poi essere indetto. E’ vero che è previsto il termine di tre mesi, ma è evidente che questo termine non è imposto al Consiglio dei Ministri, ma ai soggetti che intendano chiedere il referendum; essi, e non il Consiglio dei Ministri, hanno tempo tre mesi dalla pubblicazione della legge per chiedere il referendum. Il che significa, ancora, che, una volta che uno dei soggetti abbia chiesto il referendum, ciò è già sufficiente perché il Consiglio dei Ministri lo indica. E’ per quello che la legge n. 352 del 1970, che è venuta dopo la Costituzione, ha specificato che << il referendum è indetto con decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri, entro sessanta giorni dalla comunicazione dell’ordinanza che lo abbia ammesso>>. Ossia, la legge, che attua la norma costituzionale, ha previsto che, se la Corte di cassazione ha ammesso il referendum, dopo che uno dei soggetti legittimati l’ha richiesto, e nel nostro caso lo ha fatto un quinto dei parlamentari, la consultazione va indetta entro sessanta giorni. Dunque, sia dalla Costituzione che dalla legge ordinaria che la attua, e tra le quali non vi è contrasto, si ricava che è sufficiente che uno solo dei soggetti legittimati chieda il referendum perché decorra la procedura di indizione. Le obiezioni che si muovono a questa lettura non sono affatto irresistibili, e danno l’impressione di essere strumentali. Si dice che la raccolta firme verrebbe vanificata se, mentre essa è in corso, venga comunque indetto il referendum, già richiesto da altri. Ma questa tesi non dice perché mai dovrebbe essere vanificata, dal momento che la raccolta firme mira anche essa al medesimo risultato già ottenuto da altri. Né ha senso la tesi, pure fatta valere da alcuni docenti, secondo cui la norma costituzionale tutela le minoranze legittimate a proporre il referendum e dunque impone che si aspettino i tre mesi, entro i quali ciascuno dei soggetti può avanzare la sua richiesta; tesi che presuppone che tra i soggetti legittimati a proporre referendum vi siano maggioranze e minoranze. Cosi come del tutto pretestuoso è l’argomento per cui, se il referendum venisse indetto dopo che uno dei soggetti legittimati lo ha chiesto, e senza attendere la scadenza del termine o senza attendere che venga terminata la raccolta delle firme, si priverebbe il comitato promotore , quello che raccoglie le firme, della possibilità di partecipare alla successiva campagna referendaria; anche qui non si capisce il perché, dal momento che il comitato, già costituito, ha comunque la facoltà di fare la sua compagna referendaria, anche se il referendum è richiesto ed ottenuto da altri. Né infine, e mi pare l’argomento più debole, si può sostenere che dai firmatari possono derivare ulteriori quesiti, che arricchiscono il contenuto della consultazione, in quanto pare ovvio che il quesito uno è, e non se ne possono aggiungere altri: si chiede ai cittadini se si intende confermare o meno la legge. Tutto ciò senza tener conto che, in questo caso, la raccolta firme è iniziata quando il referendum era stato già ammesso, su richiesta dei parlamentari, il che rende ancora più evidente, da un lato, che non c’è alcuna raccolta in corso da far terminare pena la lesione di chissà quale diritto, e , per altro verso, che la raccolta fatta per proporre un referendum già proposto ed accettato, ha il sapore dell’ostruzionismo, più che dell’esercizio di un diritto, pur sempre garantito.
* Consigliere di Cassazione





