Le immagini del fotografo salernitano Francesco Truono punteggiano il calendario del Napoli Jazz Club, disponibile in librerie ed edicole, il cui ricavato servirà a realizzare una piattaforma digitale che possa permettere attraverso un portale internet di trasmettere concerti in streaming, per promuovere la musica
Di OLGA CHIEFFI
ll linguaggio dell’interplay nel jazz può essere tradotto, in fotografia? La fotografia, come la musica e tutte le arti, ha in comune un “punctum” ( e qui i fotografi penseranno al libro di estetica “La Camera chiara” di Roland Barthes, ma il musicista ci vedrà il contrappunto o il latinista il verso oraziano. E’, infatti, noto che le diverse arti, siano esse musicali, letterarie o figurative, intersechino i loro linguaggi, andando a creare quell’ unica lingua in grado di trasmettere l’incanto, la meraviglia, l’angoscia del silenzio e la gioia del “canto” delle cose) quale incubatore di creatività e improvvisazione, uno spazio libero di relazione, di scambio tra l’artista, lo spettatore e il fotografo. È in questo spazio di partecipazione che s’inserisce l’elemento empatico, il particolare, l’imprevedibile, racchiuso nelle dodici immagini che vanno a comporre il calendario del Napoli Jazz Club 2021, firmato da Francesco Truono. Uno “spazio”, quello in cui agisce il nostro fotografo, che non serve minimamente a se stesso, ma impone la sua costanza narrativa alla fusione di un apparato tematico inorganico, disperso. Un racconto questo, che ha convinto Michele Solipano a farne oggetto di un’iniziativa per testimoniare la voglia del mondo musicale partenopeo di andare avanti, di guardare al futuro con rinnovate speranze, nei confronti di questa pandemia che ha costretto a rinviare tutta una serie di eventi e progetti, accolto da partners istituzionali quali la Regione Campania e il Mibac, insieme ad una serie di partnership private. Il calendario stampato in qualche migliaio di copie è sugli scaffali di librerie ed edicole e il ricavato di tale iniziativa servirà a realizzare una piattaforma digitale, che possa permettere, attraverso un portale internet, di trasmettere concerti in streaming, promuovere la musica, attivare un servizio shop online, un canale youtube, una web radio, una newsletter su tutti gli eventi di musica jazz presenti sul nostro territorio. “Un modo – scrive Michele Solipano – per sentirci vicini per riunire la comunità del jazz campano intorno ad un’iniziativa editoriale e, in particolare, per non disperdere quel patrimonio di emozioni, passione e grande musica accumulati in questi anni”. Francesco Truono, nella sua più che ventennale attività di fotografo di palcoscenico, ha fissato l’istante del gioco scenico del jazz che viene costruito attorno ai fantasmi di musiche e gesti musicali esistiti: il gesto mimetico, il fraseggio, il modo di porgere, il suono complessivo, funzionanti di volta in volta allo scopo, al “rinvio” richiamato. L’artista cerca di sviluppare attraverso il suo attentissimo e libero obiettivo, un’interazione con i musicisti, per fissare il loro personale interplay, che diventa un compatto teatro, in una identità che nasce e si sviluppa in relazione a “point”, che a volte sono indicati dai titoli, a volte da aspetti percepibili solo dal vivo e che non possono comparire nelle registrazioni, come abiti, gesti, oggetti, strumenti, paesaggi, luci. Le immagini di Francesco Truono, nella classicità del bianco e nero, rivelano un jazz in tutti i suoi contrasti, in cui sembra voler considerare in ogni occasione la fremente realtà vitale di un’arte che, dello svanire nell’istante stesso, ha fatto una regola. La musica, infatti è la guida prima del nostro fotografo, che gli permette di realizzare scatti di scena e fuori scena, e gli ha concesso anche l’opportunità di fargli comprendere che il suo desiderio di cacciatore d’immagini, va ben oltre la semplice registrazione della realtà speculare. Una galleria di luoghi e solisti prestigiosi impreziosisce il lunario, dal palco a getto sul mare del Festival di Ravello che incantò Tomasz Stanko, ispirando la sua sonorità densa, lirica e nervosa, capace di drammatizzare il silenzio, ove si ritrovò con Enrico Rava, Giovanni Guidi, Dezron Douglas e Gerald Cleaver, all’ironia di Paolo Conte al Teatro Gesualdo di Avellino, l’energia di Hiromi Uehara ad Umbria Jazz, la “scienza esatta” del pianismo di Keith Jarrett all’arena Flegrea di Napoli, e ancora gli hot mallets di Brian Blade al Modo, la voce iridescente di Sarah Jane Morris tra le colonne del quadriportico del duomo di Salerno, la leggenda Ornette Coleman, il musicista che rese “free” il jazz, al Teatro Augusteo di Napoli, ancora Ravello con la sperimentazione di Herbie Hancock, il suono dell’anima di Paolo Fresu, Omar Sosa e Triloku Gurtu per il Napoli Jazz Winter 2019, gli incroci sonori di Chick Corea a Umbria Jazz e la lezione di stile del carismatico Ron Carter ad Umbria Jazz Winter, quale talismano di piccole ebbrezze, nell’attesa di un immediato ritorno a quella sfida infinita tra artisti e pubblico, in quel luogo-non luogo che è il palcoscenico.