di Erika Noschese
Non solo accesso vietato in sala parto, ai papà o ad una persona di fiducia della neo mamma ma le donne che hanno i figli ricoverati alla Tin, la terapia intensiva neonatale, non possono stare a contatto con i loro bimbi, durante il periodo del ricovero. Una battaglia che le stesse neo mamme stanno portando avanti, provando a chiedere ai vertici aziendali un’apertura, sia per quanto riguarda gli accessi in sala parto sia per la Tin, con l’ausilio di Patrizia Santoro, ostetrica e membro della Fiadel e Mario Polichetti, responsabile del reparto gravidanze a rischio dell’azienda ospedaliera universitaria Ruggi d’Aragona. Entrambi, ogni giorno, ricevono segnalazioni da parte delle mamme e cercano di dare loro sostegno e conforto. “Il mio non è un attacco al Ruggi, ci mancherebbe, ma solo un dar voce a quelle mamme che, ora, voce non hanno”, ha chiarito la Santoro. Non solo vietato l’accesso ai papà in sala parto. Per i bimbi ricoverati al Tin è impossibile avere il contatto diretto con la madre… “Non solo vietato l’accesso ai papà in sala parto ma i bimbi ricoverati alla Tin (la terapia intensiva neonatale ndr) non possono avere contatti con le loro mamme. Questa è una cosa molto seria ed importante: molte donne hanno denunciato di non poter vedere il loro bimbo ricoverato alla tin. In realtà succede questo: quando un neonato presenta un problema viene ricoverato in terapia intensiva neonatale; da quel momento, viene “sottratto” alla mamma per essere trasferito in reparto e la madre per poter vedere il figlio deve telefonare al reparto di terapia intensiva neonatale, fissare l’appuntamento per poter accedere al reparto ma solo una volta al giorno; quando la mamma si reca in struttura non può né vedere né allattare il bimbo e, come anticipato, solo ogni 24 ore si può andare al nido. Le mamme si sentono sole, comprensibile il rispetto delle norme e totalmente accettabile ma i bimbi hanno bisogno del contatto materno. Ci sono state neo mamme che sono riuscite a vedere i figli, ma protestando e non si può lasciar passare questo messaggio, non è giusto. Non si riesce a strutturare un rapporto nonostante la necessità, soprattutto durante i primi giorni di vita del piccolo, di un contatto pelle a pelle con chi li ha messi al mondo. È difficile dare spiegazioni ad una neo mamma disperata che non riesce ad accettare l’impossibilità di vedere suo figlio. È vero che si tratta di un protocollo assistenziale ma è pur vero che non si può separare il neonato dalla mamma, devono essere uniti anche per sviluppare quel senso di fiducia tra madre e figlio, ed è inaccettabile che solo telefonicamente si possono sapere notizie sullo stato di salute del neonato”. Nei giorni scorsi ha avuto modo di parlare anche con il dottor Mario Polichetti, c’è sicuramente pieno sostegno da parte sua… “Io e il dottor Polichetti abbiamo sposato questa battaglia a difesa delle donne che ci contattano quotidianamente e chiedono sostegno e aiuto. Io non faccio altro che farmi portavoce dei loro bisogni e delle loro difficoltà oltre che necessità. Credo sia giusto rasserenare le donne, devo farlo”. Ha avuto modo di incontrare i vertici ospedalieri? “Non ho avuto modo di incontrare i vertici ospedalieri. So che c’è stata una riunione per provare a trovare soluzioni per porre fine alla problematica ma, ad oggi, nulla è cambiato. Anzi. Bisogna spingere in questa direzione ulteriormente. Abbiamo un calo nel numero di parti perché le donne preferiscono partorire in clinica o in casa, circondata dai propri affetti, senza doversi separare dai bambini. Quelle donne che scelgono di partorire in sicurezza, alla fine, devono sottostare a delle regole e non possono contare sul sostegno di un compagno o di una persona a loro cara”. La difficoltà sta tutta nella mancanza di percorsi idonei, quale sarebbe la soluzione secondo lei? “Penso si possa fare qualcosa; è vero, il Ruggi è un ospedale con una struttura “vecchia”, va rinnovato ma i percorsi idonei mancano. Si può fare in modo che i vertici, i primari, possano tener conto dei bisogni delle donne: si possono attivare protocolli assistenziali ma bisogna considerare assolutamente il rapporto madre-figlio, sia perché si preferisce allattare al seno per tanti motivi, soprattutto per la tutela del neonato sia per tutelare la donna. È necessario che la madre abbia un contatto diretto e quotidiano con il figlio, nonostante i problemi che possono essere insorti”.