di Nicola Russomando
È stato presentato il 10 dicembre al Salone dei Marmi del Comune di Salerno il volume “Scritti – Giustizia minorile e testimonianza di fede 1988-2019” di Pasquale Andria, già presidente del Tribunale dei Minori di Salerno, ad un anno dalla sua scomparsa. Il volume consta di due parti: la prima è la silloge di scritti giuridici sulla materia della giustizia minorile, la seconda raccoglie alcuni contributi di Pasquale Andria come vicepresidente nazionale dell’Azione cattolica. Le due anime del percorso umano di un giurista di formazione cattolica che ha esercitato le sue funzioni in un contesto giurisdizionale particolare quale quello dei minori e della famiglia. A scorrere i vari contributi raccolti nella silloge appare evidente come l’evoluzione della società italiana nell’ultimo cinquantennio abbia accompagnato, più spesso sollecitato, interventi sulla legislazione che tenessero conto del mutamento in essere tra i consociati. Osservatorio privilegiato quello della giustizia minorile e dei Tribunali dei minori che, a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, hanno riorientato la loro funzione sull’acquisizione del concetto di minore come soggetto di diritto in se stesso. Del resto, l’esercizio delle funzioni giurisdizionali di Pasquale Andria in ambito minorile dal 1985 al 2018 copre un lasso di tempo in cui il dibattito sulla famiglia e sulla genitorialità ha conosciuto interventi anche radicali sulla legislazione. La riformulazione della potestà genitoriale Basti qui accennare al trascorrere di istituti quali “la patria potestà”, presente nel testo originario del Codice civile del 1942, poi evoluta nella “potestà dei genitori” nella riforma del diritto di famiglia del 1975, per poi approdare alla rinnovata formulazione di “responsabilità genitoriale” della legge 219/2012. Tutt’altro che una mera evoluzione linguistica, piuttosto il segno dell’abbandono della logica di un potere che crea soggezione, secondo l’accezione romanistica di “potestas”, per un ricollocamento del minore come soggetto della dinamica giuridica. Di tutto ciò si trova contezza negli scritti di Pasquale Andria a commento o a sollecitazione di interventi legislativi, senza escludere critiche anche serrate a tendenze affermatesi più di recente per un depotenziamento della giustizia minorile e per una sua riconduzione alla giurisdizione ordinaria, semmai attraverso sezioni specializzate dei Tribunali. Dalla presentazione del volume, che ha visto l’intervento di Melita Cavallo, presidente emerito del Tribunale dei Minori di Roma e di Piero Avallone, presidente in carica a Salerno, è emersa con chiarezza la specificità della giustizia minorile come di uno spazio di giurisdizione in dialogo con i saperi-altri. Ed è questa una convinzione ben radicata nella riflessione di Pasquale Andria che già in un suo contributo del 2003 ad un convegno dell’ANM ritrovava “il proprium del sapere del giudice non nella separatezza, ma, paradossalmente, nella contaminazione culturale in cui lo specifico è un esito da recuperare dinamicamente, piuttosto che un dato scontato e immutabile”. Operazione sommamente necessaria in ambito minorile, dove “la contaminazione dei saperi” nel concorso dei giudici onorari al fianco dei togati fa della specializzazione un criterio di garanzia nella salvaguardia dell’interesse prioritario del minore. E nel potenziale conflitto con il principio di terzietà e imparzialità del giudice la specializzazione nelle conclusioni dell’Autore è giustificata nel segno “del tempo della complessità culturale”. Il «virus» della legge Cirinnà E che la complessità culturale fosse manifestamente presente all’orizzonte del giudice minorile è provato dalla riflessione sui modelli di aggregazione familiare sempre più presenti nella società. L’occasione è offerta dal controverso tema della “stepchild adoption” che pure viene trattato in uno scritto del 2019 dal titolo significativo “La tutela del minore nella famiglia del cambiamento”. Innanzi all’introduzione nell’ordinamento delle unioni civili tra persone dello stesso sesso l’istituto dell’adozione, così come disciplinato dalla legge 184/1983, si ritrova investito da questioni nuove e inopinate. Se la “legge Cirinnà” da un lato non consente l’adozione di minori ai partners di unioni civili, tuttavia lascia impregiudicato “quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti”. Per Pasquale Andria un “inedito endorsement” alla giurisprudenza che si andava formando sull’adozione “in casi particolari” contemplati dall’art. 44 della legge 184, tra cui è annoverata l’ipotesi di impossibilità di affidamento preadottivo. E nel caso di una donna il cui figlio sia stato concepito per inseminazione eterologa da parte della sua convivente, l’impossibilità di affidamento preadottivo si rivela fattuale, non giuridica, integrando in astratto l’ipotesi prevista dalla legge. Su questo aspetto di giurisprudenza – da alcuni commentatori definita “creativa” – l’Autore si richiama alle pronunce di merito, poi confermate in sede di legittimità. Su altri casi particolari, quale quello della trascrizione in Italia dello stato di nascita di un bambino formato all’estero per coppie omosessuali, le Sezioni Unite della Cassazione avrebbero dovuto sciogliere l’aporia, oggi superata legislativamente con l’introduzione in Italia del reato universale di gestazione per altri. Sulla questione più ampia della “naturalità” della famiglia, retaggio dell’art. 29 della Costituzione, la “contaminazione dei saperi” rivela anche contrasti tra sociologi e antropologi attestati sulla definizione di famiglia come fatto culturale e sociale con tutte variegate possibilità di organizzazione e il giurista che dalla legge fondamentale deve pur trarre le necessarie linee d’interpretazione. La famiglia tra Costituzione e Codice civile E se “la famiglia società naturale fondata sul matrimonio” nella lettura della Corte costituzionale ha come riferimento necessitato l’unione eterosessuale disciplinata dal Codice civile, non per questo si ha preclusione per altre forme di organizzazione dei rapporti umani nell’accezione di formazioni sociali intermedie riconosciute dall’art. 2 della Carta. Questi temi si ritrovano costantemente trattati negli scritti di Pasquale Andria in termini di problematicità piuttosto che di soluzione compiuta. Tuttavia, difficilmente avrebbe accettato una definizione univoca di famiglia che privilegi la “cura” sulla “biologia”. Per quanto la funzione di un giudice minorile sia mirata a privilegiare l’interesse primario del minore, l’intervento dello Stato nell’organizzazione familiare resta un’eccezione a fronte della naturalità del rapporto familiare che precede la stessa organizzazione statale. Qui si rivela la formazione cattolica del giurista, che, come è stato sottolineato da Angelo Scelzo, ex vicedirettore della sala stampa vaticana, pure intervenuto alla presentazione, ha per riferimento costante il Vangelo e la Costituzione. Sebbene le due fonti non siano sovrapponibili, nel discorso del dirigente di Azione cattolica l’opzione religiosa è volta “a cogliere le grandi urgenze aperte nella nostra società, educando a vivere criticamente con esse e a cogliere la significativa anche se non sempre chiara ricerca di senso che le attraversa”. Su questa ricerca si è orientata l’esperienza professionale e umana di Pasquale Andria documentata dai suoi scritti.