di Alfonso Malangone
Le condizioni della Città, nel periodo estivo ormai alla fine, sono state davvero dolorose, e finanche penose. A qualsiasi livello di cultura e di esperienza, nessun giudizio potrebbe essere diverso da questo, a meno di considerare il degrado una qualità naturale dell’ambiente e della vita. Sono state davvero eloquenti le foto pubblicate sul web relative ai giardini, alle aiuole, agli alberi, al mare, alle aree pubbliche, alle strade, agli slarghi, con particolare riferimento alle zone centrali, quelle ‘turistiche’, dove è mancata l’erogazione di una sia pur minima quantità d’acqua per impedire che il verde si trasformasse in deserto. In verità, qualcuno ha osservato che, volendo proprio parlare di degrado, allora sarebbe stato giusto aggiungere anche Piazza Cavour, un disastro che ha compiuto i dieci anni, Palazzo Santoro, una questione che è ancora più vecchia, avendo superato il ventennio, e i tanti edifici storici diruti e in abbandono. Senza trascurare neppure il Cimitero. Insomma, una situazione di grande tristezza. Purtroppo, se per il verde ci può essere una speranza, perché rinasce per la sola volontà della natura, e se per il mare se ne potrà riparlare l’anno prossimo, per il ripristino di una migliore qualità di ogni altro bene pubblico forse si deve invocare l’aiuto di una Volontà Superiore, visto che quella umana sembra dimostrare una concreta difficoltà di espressione. Un esempio è proprio offerto da Palazzo Santoro, la cui delicata condizione merita una riflessione particolare trattandosi di un immobile di grande valore architettonico sottoposto alla speciale tutela di cui al DLgs 42/2004, il Codice dei beni culturali e del paesaggio. L’edificio, infatti, fu realizzato tra il 1922 e il 1925 dall’arch. Matteo D’Agostino seguendo le linee raffinate dell’arch. Gino Coppedè che, negli stessi anni, riempì l’Italia di fabbricati accostando armonicamente stili diversi e di ogni tempo. A Roma, in particolare, fu realizzato addirittura un quartiere, oggi molto prestigioso e meta di continui flussi di visitatori e di studiosi dell’arte. Da noi, invece, Palazzo Santoro neppure si apprezza, visto che è in parte nascosto da reti, offrendo peraltro una immagine assimilabile a quella di un fabbricato colpito da grave degrado nel disinteresse dei condomini. In verità, ben più profonde sono le motivazioni del suo stato esteriore e di alcuni problemi strutturali pure rilevati dai Vigili del Fuoco in un sopraluogo del 2012. E’ una informazione presente sul web. La ‘storia’ ebbe iniziò nel 2002 quando, dopo la presentazione di una DIA di durata triennale per la esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria, sarebbero stati effettuati degli interventi significativi, agli ultimi due piani, che avrebbero modificato l’originaria impostazione architettonica. Contro queste dichiarate alterazioni, fu il condomino Prof. Alessio Colombis a presentare una immediata denuncia accompagnata anche da un’istanza alla Soprintendenza, accolta favorevolmente, per l’apposizione del vincolo storico all’immobile. A seguire, nell’Ottobre 2006, il tecnico incaricato dalla maggioranza condominiale elaborò un progetto di restauro che ottenne l’approvazione della Soprintendenza nel successivo mese di Novembre. Tuttavia, anche questo intervento fu contestato dal prof. Colombis che riuscì ad ottenere la revoca dell’autorizzazione, in autotutela, un anno dopo. Ma, la vicenda non finì lì. Dapprima, nel 2008, un ulteriore progetto fu addirittura bocciato dalla Soprintendenza e, dopo, nel 2009, fu lo stesso Ufficio a inviare al Comune la richiesta di ripristino delle condizioni originarie con l’abbattimento delle superfetazioni che avevano compromesso “significativamente il decoro e l’integrità del palazzo”. Da parte sua, l’Ente invitò i proprietari a provvedere “entro 180 giorni”, pena l’avvio del “procedimento d’ufficio a spese e in danno dei responsabili”. Ovviamente, nulla avvenne. Intanto, altri lavori venivano eseguiti su diversa porzione del fabbricato e, per essi, sempre nel 2009, fu rilasciata una nuova autorizzazione dalla Soprintendenza seguita da immediata contestazione da parte dei condomini dissenzienti. Di qui, ebbe inizio un primo giudizio che coinvolse i responsabili dello stesso Ufficio perché ritenuti consapevoli delle denunciate irregolarità. La vicenda si è poi chiusa in Tribunale, nel 2017, con la prescrizione dei reati. Nessuna sorpresa, può succedere. Però, mentre procedeva quell’azione giudiziaria, altri due procedimenti erano stati avviati sempre dal condomino prof. Colombis che, sull’intera vicenda, ha pubblicato pagine di post sul web. Il primo, contro il Soprintendente dell’epoca e il Funzionario Responsabile del procedimento, si chiuse nel 2018 con la loro condanna definitiva in Cassazione per false attestazioni in un documento ufficiale. Il secondo, nei confronti del tecnico progettista, si è egualmente chiuso ai soli effetti civili in Cassazione, nel 2023, con la sua condanna per infedele elaborazione dei grafici. Intanto, mentre le procedure tenevano bloccato il cantiere, nel 2020 la Soprintendenza rilasciò nuova autorizzazione egualmente ritenuta illegittima dai condomini dissenzienti perché relativa ad un progetto di restauro solo parziale dell’edificio. Nel 2022, infine, l’ultimo atto di cui si ha notizia, davvero sorprendente. Nel volgere di due giorni, sarebbero state demolite alcune delle superfetazioni private eseguite dal 2003 al 2005 con il ripristino, quindi, delle condizioni precedenti al 2002. Premesso quanto innanzi, in attesa dell’esito delle indagini giudiziarie e degli accertamenti amministrativi, le uniche certezze di questa vicenda sono due, e due solo: – l’immobile sta ancora nelle condizioni in cui sta, – qualche rappresentante delle Istituzioni sembra non abbia tenuto un comportamento corretto e fedele. Punto. Ovviamente, per la ricostruzione di una situazione così complessa, si fa salvo ogni errore. A questo punto, è davvero difficile fare previsioni ottimistiche sui tempi per la rimozione delle indegne impalcature, divenute gabbie per gli stessi condomini che pure ne stanno sostenendo il costo. E, questo, sia per la lentezza delle sentenze che per quella delle indagini. Eppure, nella scheda relativa all’immobile presso il Ministero dei Beni Culturali sono dichiarati presenti documenti risalenti addirittura al 1998, anno della prima compilazione, che avrebbero potuto costituire prove inconfutabili delle fattezze originarie, come le opere di ben sei Autori, nomi anche noti, acquisite a supporto bibliografico della registrazione. In quei volumi, non potrebbero certo mancare foto o disegni del fabbricato, probabilmente rintracciabili anche negli archivi di riviste e giornali del tempo. In sostanza, forse non serve chiamare ‘Poirot’ anche se, molto e molto stranamente, nel Catalogo del Ministero la sola foto presente ritrae il Palazzo con i ponteggi e le protezioni in essere. Una incongruenza notevole. Anche se non unica, per una vicenda che ne è piena. Purtroppo. In un qualsiasi luogo, il decadimento fisico di un bene è uno stato immediatamente percepibile almeno da parte di chi è educato a riconoscere l’evidenza delle cose. E’ un fatto naturale. La sua presenza, però, è la testimonianza concreta di un altro tipo di degrado, quello morale, che può colpire coloro che sono delegati ad impedirlo. E’ possibile che il momento critico vissuto dalla Città sia proprio la conseguenza di questa debolezza, cioè della difficoltà di porre in essere azioni volte a cancellare le cento sfumature di degrado attribuibili a egoismi, a prepotenze, a prevaricazioni, a vantate superiorità, a inefficienze, a comparanze e, talora, anche a infedeltà. Nella vicenda di Palazzo Santoro, le responsabilità sono di tanti, anche di esponenti delle Istituzioni, come abbiamo visto. In quelle della Città, sono più circoscritte. Ma il degrado è identico, sia fisico che morale. Questa Città ha bisogno di amore. Ali per la Città – Gruppo Civico P.S.: le informazioni sono state attinte da fonti sul web. Si fa salvo ogni errore.