Un’anziana sola con i suoi ricordi. Niente di più ordinario, si potrebbe dire. Eppure può esistere tutto un mondo straniante dietro una porta chiusa. “Rosa Nurzia-Pena de l’Alma” è lo spettacolo scritto e interpretato da Ciro Esposito che ha segnato il quinto appuntamento di Out of Bounds, la rassegna a cura dell’Officina Teatrale LAAV di Licia Amarante e Antonella Valitutti presso il Teatro Genovesi. Nel suo monologo Esposito crea un personaggio indimenticabile attraverso un minuzioso e appassionato lavoro di immedesimazione. Che sia l’atteggiarsi malfermo delle labbra, le gambe mosse a fatica o lo sguardo consumato da pensieri ostinatamente nascosti, la sua Rosa coinvolge immediatamente per l’autenticità, anche e soprattutto quando gioca con tutte le sfumature del grottesco. Quella che compare è un’anima arroccata in se stessa e la regia di Valentina Carbonara evidenzia questo aspetto attraverso gli oggetti di scena di Monica Costigliola. Sul palco sono disseminati lumini: uno presso la foto in bianco e nero di due donne, un altro presso la statuetta della Vergine, un altro vicino a fiori avvizziti e alle imposte di legno di una finestra (che è però significativamente poggiata in terra, perché la dimensione in cui si muove la donna è quella, orizzontale, della quotidianità). Piegata in avanti come se racchiudesse tra le mani qualcosa di prezioso, si muove incessantemente da un punto all’altro: atteggiamento ripetuto nel finale. Non potrebbe essere diversamente: è la guardiana di un passato che tenta di mantenere in vita con l’ossessione di chi non vuole guardare al di là di quel che ha costruito e perduto. Quella che lo spettatore vede è una veglia funebre in cui i fantasmi, che prendono corpo in un fluire amaro e tenero di parole, sembrano più vivi dei vivi. Chiunque si introduca in questo spazio di memorie da proteggere gelosamente (di cui è immagine il lumino ingabbiato) è un nemico, come mostra la decisione di scacciare la badante polacca e l’ostilità verso i poliziotti a cui è stata costretta ad aprire la porta. Rosa ha custodito il cadavere della sorella Alma per due mesi, perché è impossibile rinunciare a chi è stata amata tanto. Il velo bianco in cui si avvolge (segno tangibile di consacrazione) esprime il bisogno di fondersi con il suo oggetto d’amore. I corpi si consumano e diventano putridi, ma un’anima che si sdoppia ignora la morte: ogni respiro è anche il respiro dell’altra, ogni gesto la cerca e la ricorda. E gli altri saranno pronti a colpirla, ma non a capire che si può amare anche così.
Gemma Criscuoli