di Aldo Primicerio
Non sai se devi ridere o piangere. La maggioranza di centrodestra ha ormai compiuto a metà il percorso di attacchi alla Costituzione. Il Parlamento – che di vita ne ha ormai per poco – ha approvato il premierato, che stava a cuore alla Meloni ed a Fdi per distruggere il Parlamento. E poi l’autonomia differenziata, che distruggerà quell’unità costata sofferenze e morti in passato, e sulla quale si è sempre ostinata la Lega nordista. Al Senato invece era già passata la inutile legge sulla inutile separazione delle carriere sognata da Berlusconi e da Forza Italia, dove i magistrati che se ne avvalgono si contano sulle dita di una mano. Insomma uno scambio di vendette fra i tre partiti della maggioranza. Questa è la politica, questi sono i politici oggi. Ora, se questo percorso fosse completato, la controriforma autoritaria di Meloni e soci sopprimerebbe la Costituzione nata dalla Resistenza e dai Padri Costituenti, e l’Italia avrebbe un regime simile all’Ungheria di Orban o all’Argentina di Milei.
Il Ddl Cybersicurezza ultimo tassello al miserabile mosaico che vuole annientare Costituzione, parlamentarismo, autonomia della magistratura
Eppure mancava un tassello a questo miserabile mosaico. Ed è arrivato con il disegno di legge Cybersicurezza, approvato mercoledì 19 giugno al Senato. A molti forse sarà sfuggito. Perché molti di noi non leggono, o lasciano che l’acqua scorra, o rincorrono carriere o ponti per fare vacanza, magari ignorando fastidi come le urne e le scadenze elettorali. Inizialmente il ddl prevedeva che la politica esercitasse un controllo sull’operato dei magistrati solo ad indagini concluse. Ma questo non andava bene. Ed allora via alla cancellazione dell’emendamento e sì al controllo di un ispettore del Ministero della Giustizia in qualsiasi fase delle indagini di Pubblici Ministeri e Giudici per le Indagini Preliminari. Un provvedimento gravissimo, che vìola la segretezza ma anche l’efficacia dell’indagine investigativa. Perché rischia di compromettere il lavoro dei Pm, favorendo l’impunità dei colletti bianchi, governatori, sindaci, pubblici amministratori, dirigenti pubblici, che capziosamente violano la legge per trarne e farne trarre illegalmente benefìci, a terzi ed a se stessi. Lo ha denunciato pubblicamente Roberto Scarpinato, un ex-magistrato oggi senatore della Repubblica. Nel corso delle indagini – lui scrive – i magistrati hanno spesso necessità di accedere alle banche dati per acquisire informazioni importanti per l’accertamento dei reati. Tutte queste interrogazioni alle banche dati sono coperte da segreto sino a quando l’indagine non si è conclusa. La maggioranza di governo ha approvato una norma che consente al ministro della Giustizia, che è un’autorità politica, di venire a conoscenza del segreto delle indagini perché viene attribuito agli ispettori del ministero della Giustizia il potere, anche se le indagini sono in corso, di controllare gli accessi alle banche dati che i magistrati hanno fatto. E questo controllo non viene esercitato sulle forze di polizia o le pubbliche amministrazioni, ma solo sui magistrati. Un provvedimento inaudito, che fa sempre più somigliare l’Italia all’Argentina di Videla, il sanguinario dittatore che impediva l’autonomia della magistratura, controllandone ed ostacolandone l’operato.
Il lontano ricordo della destra liberal-moderata di Silvio. Le presenze dilaganti dei boccoli dorati in tv e sui social, ed il sogno di orbanizzazione del Paese
Ma, lo abbiamo già scritto, diventa sempre più oppressiva la deriva autoritaria che la nostra presidente tenta di addolcire con le sue presenze dilaganti sui social e in tv, con il suo incedere ciondolante, gli abbracci e baci con i capi di governo stranieri, i boccoli dorati, il sorriso innocente e la parlata cacio e pepe con cui tenta di imbonire quelli di noi che se le bevono in ogni momento della giornata. La destra liberal, moderata, geniale e intelligente di Berlusconi ormai è solo un ricordo. Questa destra vuole essere forte e basta. Con il premierato vuole polverizzare la Repubblica parlamentare e sognare l’orbanizzazione dell’Italia. Con l’autonomia differenziata vuole attentare all’unità nazionale ed acuire le discriminazioni territoriali, economiche e sociali, basandosi su un potente centralismo politico e burocratico e sull’affarismo clientelare ed affaristico di alcune Regioni. Con la separazione delle carriere ed il naso nelle indagini, il quartetto Meloni Nordio Salvini Tajani vuole una magistratura conformista ed obbediente, forte con i deboli, inoffensiva con i forti. E’ un progetto assai somigliante ad un disegno eversivo, che ha prodotto già un effetto dirompente, la disaffezione di noi italiani verso la politica, che proprio con questo governo ha toccato il fondo alle ultime europee in termini di partecipazione al voto
No dell’Italia all’UE anche al voto sulla Nature Restoration Law. Il governo Meloni costretto ad inchinarsi al primato della natura sui profitti e sugli interessi
Nonostante il voto contrario dell’Italia – assieme ai no di Ungheria, Olanda, Polonia, Finlandia e Svezia – è passata la legge che punta a imporre agli stati membri di stabilire e attuare misure per ripristinare almeno il 20% delle aree terrestri e marine dell’Ue entro il 2030. Prima le direttive europee miravano alla rimozione degli impatti che alterano l’ambiente. Cioè, smettiamo di inquinare, distruggere gli habitat, spandere spazzatura ovunque, sovrasfruttare le risorse naturali, e la natura si riprenderà. L’obiettivo era, quindi, di lasciare che la natura si riprendesse da sola, una volta venuti meno i nostri influssi malefici. Il restauro parte dal presupposto che la natura invece non ce la faccia e che sia necessario riportare le cose in uno stato precedente ai nostri impatti, con interventi diretti. A terra, ad esempio, queste operazioni si fanno con i rimboschimenti. Perché questo governo insiste per il no alla natura? Una fissa velleitaria? No di certo. Il sospetto invece è che l’intento sia quello di continuare ad abusare della natura. A loro non interessa l’agricoltura ma gli agricoltori, non le industrie ma gli industriali, non la salute ma l’interesse ed il profitto.
Qualcuno ci chiede perché insistiamo sempre su alcuni temi in particolare. La risposta è che ci sono e diventano sempre più grandi e gravi alcuni problemi di fronte ai quali “The press can still be a watchdog of power”, la stampa può ancora essere un cane da guardia del potere. Lo diceva Joseph Pulitzer, giornalista ed editore ungherese naturalizzato americano, che ha dato il nome al premio considerato universalmente come la più prestigiosa onorificenza nel campo del giornalismo. Il punto è che noi non siamo più abituati ad un giornalismo che faccia da contrappeso al potere, ma ad uno che diventi spesso megafono del potere. Ed ecco che diventa prepotente in noi il desiderio di raccontare e far riflettere i lettori su cose che il potere preferirebbe tener nascoste, tenendo al guinzaglio un giornalismo che invece conserva intatto il valore gigantesco dell’informazione, e che deve rimanere il cane che abbaia a difesa della democrazia