E’ ospite fisso il clarinettista vice direttore artistico dell’Arena di Verona, stavolta in duo con il raffinato pianista erede della scuola napoletana, del terzultimo appuntamento concertistico del Teatro Verdi di Salerno
Di OLGA CHIEFFI
Terzultimo appuntamento del cartellone cameristico, quello di stasera del Teatro Verdi di Salerno, che alle ore 20, accenderà i riflettori sul duo composto dal clarinettista Giampiero Sobrino, vice direttore artistico dell’Arena di Verona, ospite fisso della direzione artistica di Daniel Oren, bacchetta di casa nel tempio estivo della musica, e dall’elegante pianista Vittorio Bresciani, erede dei segreti di Vincenzo Vitale e che ricordiamo nel fantastico duo con Francesco Nicolosi. Il programma vedrà una prima parte dedicata a fantasie e parafrasi dalle opere di Giuseppe Verdi. S’inizierà con il Divertimento sopra motivi dell’Opera Il Trovatore firmato da Luigi Bassi nel 1862 . In questa pagina vengono rielaborati e variati il coro “Sull’orlo dei tetti” e le arie “Stride la vampa!”, “D’amor sull’ali rosee, “Di quella pira”, latore di un clarinettismo efficace e brillante ma molto contenuto tecnicamente. L’immagine di Liszt è fortemente legata all’estesissima sezione del suo catalogo dedicata a trascrizioni e parafrasi: la loro composita schiera rischia di far velo al capitolo più nutrito delle composizioni originali. Stasera Vittorio Bresciani, eccezionale interprete del genio ungherese, dedicherà al pubblico salernitano la Parafrasi di Aida, composta nel 1876. E’, questo uno straordinario capolavoro, geniale nella struttura, nelle scelte, nell’invenzione di atmosfere evocative, nel pianismo prosciugato, impietrito, artritico, nell’armonia che viene da Verdi ma approda a Liszt. Tutto suona moderno e ieratico, come Liszt era divenuto, su tutto spira aria profetica. Debussy è a un passo, Bartók nasce da qui. La doppia conclusione di Aida, una per l’applauso, l’altra per la poesia, rivela come ancora Liszt sia dibattuto tra il venerato virtuoso e il Liszt più vero, lo sconfitto e misconosciuto compositore incompreso financo dalla figlia Cosima e dal genero Richard Wagner. Seguirà la Fantasia da Concerto sopra motivi dell’Opera Rigoletto di Verdi, elaborata da Luigi Bassi nel 1865. La pagina si apre con la drammatica successione di accordi estratta dal preludio all’Atto I, seguita da una virtuosistica cadenza del clarinetto. Seguono, indi, il recitativo “Mio Padre!”, il celeberrimo quartetto “Bella Figlia dell’Amore, l’Introduzione “Della mia bella incognita” e le arie “Caro nome che il mio cor” e “Parmi veder le lacrime” rielaborate e variate in un crescendo funambolico e spettacolare del clarinetto. La seconda parte della serata sarà dedicata per intero alla scuola novecentesca francese. Sarà il Claude Debussy della Première Rapsodie, datata 1909, nata come pezzo da concorso da far leggere a prima vista ai candidati agli esami di Conservatorio ad inaugurare il secondo set. La pagina non ha nulla dell’eserciziario scolastico e dimostra piuttosto l’ ispirazione del musicista nel creare un piccolo capolavoro da un mero pretesto contingente. Ritroviamo in questa pagina la stessa magia evocativa del “Prélude à l’après-midi d’un faune” unita ad un’estrema perizia tecnica nella parte clarinettistica, che si libra con agilità in passaggi virtuosistici e che sfrutta nel contempo tutte le potenzialità espressive, talora sognanti, talaltra luminosamente vibranti, dello strumento, giudicato da Debussy di una “dolcezza romantica”. Ancora un intervento squisitamente pianistico con due numeri dai Miroirs di Maurice Ravel, datati 1906, gli scenari marini di “Une barque sur l’océan”, e le atmosfere della notte spagnola dell’Alborada del Gracioso. Il duo si congederà, con la celeberrima sonata di Francis Poulenc per clarinetto e pianoforte. Con questo compositore, si tocca forse la vetta creativa del mondo dei “six” in considerazione della grande raffinatezza di scrittura di questo autore, della sua affascinante ambivalenza fra l’esegeta di cameristi lievi ed intriganti e quella dell’ autore intenso ed ispirato, due anime che guardano forse più al Ravel ascoltato in precedenza, che a Satie, ma che bene accolgono e riesprimono un particolare “neoclassicismo”. Forme ben tornite, disegni chiari, grande senso lirico modellano il camerismo di Poulenc dove la matura “Sonata” per clarinetto e pianoforte – composta nel 1962, anno che precede la morte – è un estremo omaggio ai suoi ambiti strumentali più amati: il pianoforte e i fiati. Una composizione questa, che inizia con un guizzo esecutivo poi orientato a lirismi di diverso respiro. Né mancano aspetti dove l’espressione diventa misteriosa migrando spesso da zone oscure a più luminose anche in ragione di repentini cambi di relazione maggiore-minore. La parte centrale si distilla in un percorso rarefatto, nutrito si semplicità dei movimenti accordali del pianoforte e di sommessa, quanto suggestiva espressione melica del clarinetto dando forte connotazione, in realtà, a tutta l’opera anche e nonostante la vividezza quasi circense dell’ultimo tempo.