Nella Città della musica, domani sera, alle ore 20, torna la Cappella Neapolitana, di Antonio Florio per una “Festa napoletana” pensata e realizzata in esclusiva per il Ravello Festival con un programma in cui verranno eseguite pagine di Pergolesi, Scarlatti, Leo, Vinci, Paisiello, Piccinni, Barbella, Guglielmi e Cimarosa.
Di Olga Chieffi
« Cours, vol à Naples ècouter les chefs-d’oeuvres de Leo, de Durante, de Jommelli, de Pergolése!..Si tes yeux s’emplissent de larmes, si tu sens ton coeur palpiter, si des tressaillement t’agitent, si l’oppression te suffoque dans tes transports, prends ton Metastase et travaille, son génie échauffera le tien….» (J. J. Rousseau)
La poche parole del filosofo francese riescono a schizzare con segno da incisore la ripercussione in tutta Europa della scuola musicale napoletana per l’intero Settecento: un vera e propria onda lunga e dirompente, generata da quel grande vivaio di musicisti di talento o di vero e proprio genio che la città partenopea ha sfornato per l’intero XVIII secolo dai suoi sette conservatori. Queste istituzioni, in cui venivano istruiti alla musica giovani dotati e spesso assai poveri provenienti da tutto il reame, non solo crearono una linea di continuità stilistica che durò più di cent’anni, ma perpetuarono una scuola di altissimo artigianato, in cui non di rado i più rinomati compositori erano anche maestri di severo prestigio. La scuola napoletana settecentesca, che aveva alle sue spalle il grande esempio di Alessandro Scarlatti e di una tradizione di spettacoli, ormai più che cinquantennale, ebbe il suo momento fondante nella seconda metà degli anni Venti, dopo che la metastasiana Didone, musicata da Leo Vinci, ebbe risonanze importanti in tutto l’ambiente. Altri testi metastasiani come l’Artaserse e l’Olimpiade furono musicati da Porpora, Leo, Pergolesi con conseguenze che si dilatarono immediatamente verso Roma e verso l’Italia settentrionale. Dal 1740 al 1770 l’opera seria di matrice napoletana dilaga in tutta Europa, con Niccolò Jommelli e Tommaso Traetta, al quale si aggiunsero i Piccinni, i Paisiello, i Salieri e i Cimarosa, provenienti anch’essi dal ceppo napoletano. Ma, nel frattempo, era esplosa, sempre partorita da Napoli una nuova moda quella dell’opera buffa. Ancora a Napoli si ideò l’intermezzo, ovvero la consuetudine di recitare fra un atto e l’altro di un dramma serio in prosa o in musica, una pagina leggera. Se il ruolo dell’opera, nella società napoletana del XVIII secolo, resta certamente più appariscente, nonché grande incidenza ebbe anche la musica strumentale, che non fu soltanto una specie di “appendice” del lavoro di alcuni maestri dediti principalmente all’opera, ma costituisce anche parte fondamentale della produzione di un Domenico Scarlatti , di un Tritto o di un Guglielmi, con una scrittura guidata sempre dalla fresca inventiva melodica, sostenuta da armonie di semplice e comunicativa tessitura. L’omaggio a questa temperie, verrà, con una vera e propria Festa in musica, sul Belvedere di Villa Rufolo, dalla Cappella Neapolitana, diretta da Antonio Florio, ensemble da lui stesso fondato nel 1987 inizialmente col nome di Cappella della Pietà de’ Turchini, costituito da strumentisti e cantanti specializzati, quali stasera il soprano Valentina Varriale e il baritono Mauro Borgioni, nell’esecuzione del repertorio musicale napoletano di Sei e Settecento, e nella riscoperta di compositori rari, una delle punte di diamante della vita musicale italiana ed europea. Apertura di serata affidata al Pergolesi de’ “Lo Frate innamorato” con l’ouverture e l’aria del basso-bariton “A che sento in mezzo al core” ove la comicità e la malinconia che convivono tra le note, evidenziandone, al contempo, le preziosità di scrittura e di espressione. A seguire il Leonardo Leo “Chesta è la regola” l’aria di Zeza da “L’Alidoro” e “Perroni, mo’ che si sposa” duetto buffo per soprano, basso e archi, da cui si evince l’immediato e spontaneo senso del comico, ma contenuto in una preziosa cura formale, sino ad allora patrimonio esclusivo del melodramma serio. Si passa quindi, al Domenico Scarlatti della Sinfonia in do maggiore per archi. Di Giovanni Paisiello scopriremo “Il Pulcinella vendicato” con “Tengo treglie rossolelle” duetto di Pulcinella e Carmosina e “L’Arabo cortese” con “Va, va’ costante” l’ aria per soprano e “Vo’ farli provare” l’aria per basso. Ancora, il Niccolò Piccinni dell’ “Overtura” da Zenobia e di “Da cca mmo mme ne fujo” aria per basso da “I napoletani in America”. Riflettori anche su Leonardo Vinci con la brillante Sinfonia da “Partenope” e “Da me che buio se sa” aria per soprano e archi e da “Le Zite n’ galera” “Che bella nsalatella” mordace e frizzante. Una chicca la ninna nonna del violinista Emanuele Barbella informatore del musicologo inglese Charles Burney, inserì nella sua A General History of Music from the earliest ages to the Present period, a corde doppie, da lui suonata fra gli amici. Ultime due figure musicali della Napoli capitale della musica Pietro Alessandro Guglielmi con la sua “La mia pastorella nobile” e l’aria “ pastorella nobile che ‘l cor mi martella” e “Ch’io son buonina e semplice” cavatina per soprano e Domenico Cimarosa “Vaga fravola odorosa” un duetto dal I atto del suo “Imprudente fortunato”, musica dalla morbidezza e cantabilità espressive, nelle piacevolezze galanti, che doneranno nella filologica esecuzione alla ricerca di una precisa identità stilistica, le prerogative della delicata cifra dei Signori del nostro Settecento.