di Davide Amendola*
Salerno: come in un set di un film dell’orrore, L. R. 45 anni, residente a Salerno, ha ucciso la madre. L’ha uccisa e poi, dopo averla fatta a pezzi con una sega, ha tentato di cuocerne alcuni resti sulla griglia e in una pentola in cucina. L’uomo è affetto da una patologia psichiatrica grave e circa un mese e mezzo fa, era stato dimesso da una struttura psichiatrica e affidato alla famiglia. I medici, insieme alla Polizia, lo hanno messo in un’ambulanza e portato in ospedale, dove ora si trova in trattamento sanitario presso la Sezione Detenuti del “Ruggi”.
Il matricidio, è considerato uno dei delitti più efferati poiché, è il figlio ad uccidere colei che l’ha messo al mondo”, può essere espresso come l’omicidio della propria natura. In prevalenza è commesso dal figlio maschio, spesso schizofrenico. L’interpretazione psicodinamica del matricidio secondo S. Freud e C.G. Jung, riguarda la ribellione alla sottomissione materna, alle sue scuse, rimproveri e all’impossibilità di sposare la donna desiderata; la madre che, rappresenta la fonte di vita e di crescita ad un certo punto deve essere lasciata per affermare la propria autonomia ma, questo tentativo fallisce nel figlio spesso schizofrenico il quale, si sente soffocato e dipendente da legami simbiotici che normalmente dovrebbero essere risolti. Attraverso il matricidio egli realizza l’illusione di liberarsi della propria madre ma, questo gesto non cambia nulla nella condizione interiore poiché, il cordone è ancora integro, mantenendo il legame “madre amata-odiata”. Tale gesto esprime al contempo un tentativo di autoaffermazione e ribellione che però non risolve alcun problema, palesando lo stato di disgregazione psichica dello schizofrenico matricida. Tra le cause determinanti vi sono: la malattia mentale e la carenza/assenza della figura paterna, fondamentale per un sano sviluppo psichico del soggetto, capace di liberarlo dal legame materno. In tal caso questo legame costringe il soggetto ad un rapporto di dipendenza totale che agli di fondo rifiuta. Il matricidio assume ruolo di autodifesa verso una madre vissuta come pericolosa per la sua esistenza ed identità. I temi della morte, del matricidio, della colpa inconfessabile di un delitto, sono i temi ricorrenti sia nelle leggende che nei miti familiari, ma anche in altre dimensioni trans-generazionali. Il crimine non è mai un evento isolato di un singolo individuo, esso è al contrario al centro di un groviglio collettivo di multiple azioni ove ognuno svolge una parte precisa. Per comprendere meglio questi fenomeni dobbiamo risalire ad alcune distinzioni note. Sappiamo che la nostra mente può essere equipaggiata per far fronte al dolore mentale tramite il pensiero, la rimozione, la proiezione e/o la negazione, ma che vi sono altri meccanismi più primitivi quali la scissione, il diniego e l’identificazione proiettiva. Questi ultimi meccanismi fungono da difesa transpersonale.
Nella maggioranza dei casi riportati dalla letteratura, i soggetti coinvolti sono membri della stessa famiglia in cui vi è una relazione dominante-sottomesso. Gralnik sostiene che il processo fondamentale sia un’identificazione della parte sottomessa, che può essere inconscia, come tentativo di mantenere una relazione intima con il proprio familiare che ha il ruolo dominante. Generalmente e come il caso di R. rivela, la coppia coinvolta vive in contatto intimo spesso isolata dal resto del mondo e dalle sue influenze. Quindi, l’appoggio reciproco e la condivisione delle idee deliranti, combinato con l’isolamento sociale riduce l’opportunità di avere un contributo dalla realtà ed esaminarla con una certa criticità.
Tutto ciò permette al “delirio” di avanzare all’interno della relazione. Il delirio potrebbe aumentare finchè una fonte esterna non sia in grado di intervenire. Il raptus può essere frutto di uno stimolo imprevisto ed imprevedibile, a volte connesso ad eventi stressanti che nulla a che fare hanno con il gesto compiuto (esempio frustrazioni accumulate nell’ambiente esterno), altre volte il traboccare di un vaso progressivamente riempitosi all’interno della dinamica su esposta.
Il ruolo dei servizi territoriali è molto importante ma non sempre sono messi in condizione di poter lavorare e seguire in maniera opportuna e necessaria pazienti che presentano tali tipi di patologie.
Il vilipendio del cadavere, con l’ipotesi (da valutare) di eventuale cannibalismo dello stesso è di molteplice interpretazione a nostro parere:
A) Un “bisogno” di introiettare il corpo materno come forma di mantenimento di un rapporto intimo ed indissolubile;
B) La possibilità di “rivalsa” rispetto a quella dimensione di sottomissione che si è vissuta inconsciamente per tanti anni;
C) Come forma di “negazione” del fatto che, comunque può contemplare al suo interno una o entrambe delle istante emotive su esposte;
D) Vi possono essere tante altre motivazioni legate alle fantasie deliranti nel paziente di cui non ci è dato al momento sapere.
*Psichiatra e psicoterapeuta, responsabile del Servizio
Psichiatrico Diagnosi e Cura (Spdc) dell’Ospedale
“San Giovanni di Dio
e Ruggi d’Aragona”