Didascalica la lettura del giovane direttore finlandese Pietari Inkinen alla testa dell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, di un programma che ha posto il cigno bolognese tra Nikolaj Rimskij-Korsakov e Igor Stravinsky, in esclusiva per il Ravello Festival all’italiana
Di LUCIA D’AGOSTINO
La grande musica sinfonica europea dell’Ottocento e del Novecento a confronto con quella italiana, parallelamente alla riscoperta degli autori, italiani, meno conosciuti dal grande pubblico. È questa la linea programmatica del Ravello Festival edizione 2019 che prosegue una sorta di “esperimento” dedicato all’“Orchestra Italia” consentendo soprattutto agli stranieri di scoprire realtà orchestrali nostrane in un contesto di prestigio come la rassegna nella Città della Musica della Divina Costiera. Domenica scorsa è stata la volta dell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna diretta dal finladese, classe 1980, Pietari Inkinen già direttore musicale dell’Orchestra Sinfonica della Nuova Zelanda. Un incontro felice, quello tra i musicisti e il giovane e impeccabile maestro, anche violinista, se è vero che l’esecuzione di un programma che ha fatto dialogare Ottorino Respighi (con la suite “Gli uccelli” P. 154 e il poema sinfonico “Fontane di Roma” P. 106) con Nikolaj Rimskij-Korsakov (il tableau musical op. 5 Sadko) e Igor Stravinsky (la suite n.2 “L’uccello di fuoco) è stata priva di sbavature, elegante e rigorosa al tempo stesso. Forse un po’ didascalica, se si esclude una conduzione intensa e appassionata, che però va attribuita anche alla consapevole scelta di brani, appositamente commissionati, funzionali alla linea artistica impressa quest’anno dal direttore artistico Paolo Pinamonte e dal Mauro Felicori commissario straordinario della Fondazione Ravello. Un nuovo corso che, si può dire a metà festival, continua a lasciare un po’ interdetti. Si può trasformare un festival consolidato e internazionale in una rassegna che vuole far scoprire al pubblico compositori poco frequentati dai più e che, va detto, meritano di essere riscoperti? Sì se questa scelta riguardasse una parte dell’offerta complessiva (perché del resto non rischiare con nuove idee, con proposte trasversali e poco battute?). Un po’ meno se la parte diventa il tutto, rischiando di snaturare una rassegna che, va ricordato, ha una sua storia, una sua evoluzione, una identità consolidata nel tempo e nel mondo attraverso scelte che nel corso degli anni ne hanno arricchito la personalità senza mai trasformarla in qualcos’altro. E, spiace dirlo, il Ravello Festival quest’anno è irriconoscibile e non basta una buona esecuzione (lo sono quasi tutte quelle della sezione “Orchestra Italia”) per coglierne l’anima che si fatica a riconoscere.