Il pronto soccorso dell’ospedale Umberto I di Nocera Inferiore scoppia. A pochi giorni dalla denuncia di Gennaro D’Andretta della Cgil continuano a verificarsi condizioni da “tutto esaurito” in quello che è oramai non solo un ospedale da frontiera, ma l’unico vero fronte sanitario da prima linea tra Salerno e Napoli. Oltre seimila accessi in emergenza impongono alla Regione di rivedere l’organizzazione sul territorio e l’impegno di tutto il comparto sanitario a cominciare dal 118 per finire ai medici generali di famiglia che specie il sabato e la domenica delegano tutto all’assistenza ospedaliera. Gennaro D’Andretta della Cgil nei giorni scorsi aveva alzato la voce e denunciato uno stato di cose che è sotto gli occhi di tutti. In periodo di virus influenzali si arriva anche a 220 persone al giorno da assistere, in media 10 l’ora. Se i numeri sono così alti da tempo e la struttura sanitaria è sottoposta a un stress per l’assistenza dall’Agro nocerino e dal napoletano è necessario ridurli con una diversa organizzazione del sistema di assistenza. A cominciare dai codici verdi, patologie lievi, che potrebbero essere gestiti benissimo dalle guardie mediche o dai Psaut (come quello di Pagani, ad esempio). Invece, tanti si rivolgono al pronto soccorso di Nocera anche solo per farsi misurare la pressione arteriosa, mentre all’Umberto I dovrebbero arrivare solo i casi più gravi (quelli codificati con il colore giallo e il rosso). I codici bianchi e verdi potrebbero essere gestiti nelle strutture periferiche già esistenti dove potrebbe essere anche stabilita la prima classificazione della malattia del paziente. Per una migliore gestione dell’emergenza è necessario informare da subito i cittadini sull’offerta sanitaria nell’Agro nocerino e potenziare le strutture diverse da quelle ospedaliere. Ad esempio, basta fornire i poct, il macchinario che fa le analisi del sangue pur senza laboratorio attivo, per stabilire se un paziente ha un infarto o è affetto da patologie che richiedono un intervento chirurgico urgente. Poi ci sono i medici della medicina territoriale. A Castel San Giorgio, per esempio, grazie alla lungimiranza di Raffaele Sellitto è nata da tempo una cooperativa di medici di famiglia che mette insieme varie specialistiche e diagnostiche in grado di evitare l’ospedalizzazione e lavorare così in simbiosi con la sanità ospedaliera. Addirittura, l’idea di Sellitto è stata mutuata in altre zone del territorio ed ha dato vita ad un consorzio denominato MegaHellas, un’idea da perseguire è che potrebbe portare se gestito in maniera intelligente a ridurre i ricoveri grazie proprio all’intervento del medico di famiglia che più di tutti conosce la storia clinica del paziente.In questo modo, si eviterebbe l’accesso al pronto soccorso di Nocera Inferiore dei casi più semplici. «Ci sono poi – aggiunge D’Andretta – le soluzioni già in uso da tempo in Toscana e Emilia Romagna, le case della salute, al cui interno ci sono solo infermieri forniti di telemedicina, diffuse capillarmente sul territorio per una pronta assistenza dei pazienti e l’invio esclusivamente dei casi realmente urgenti o da approfondire presso il pronto soccorso. In questo modo, si risparmierebbe tempo e denaro e il pronto soccorso di Nocera Inferiore potrebbe dedicarsi solo ai casi più importanti. In altre realtà italiane – aggiunge D’Andretta – si sono sperimentati anche gli ambulatori infermieristici per una assistenza territoriale e per decongestionare gli ospedali». Insomma medici, infermieri, emergenza 118 e medici di famiglia al capezzale dell’Umberto I per salvarla dall’eccesso di ricoveri a volte inutili. Ma come si fa con la salute a definire inutile un ricovero? E allora va ridisegnata l’intera mappa sanitaria a nord di Salerno. “L’assistenza domiciliare – spiega Raffaele Sellitto ideatore del progetto e consorzio MegaHellas – è la vera sfida sanitaria del futuro. La si può vincere solo se al centro rimettiamo il rapporto medico e paziente. Chi meglio del medico di famiglia di medicina generale può contribuire a ridisegnare un quadro efficiente della sanità ed evitare il sovraffollamento ospedaliero. Bisogna crederci e puntare a potenziare questo tipo di attività”.
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