Questa sera, alle ore 19,45 il fisarmonicista si esibirà presso l’auditorium “G.Cesarini” di Sapri in duo con la pianista Angelina Renzullo
Di OLGA CHIEFFI
Un duo fisarmonica e pianoforte chiuderà questa sera, alle ore 19,45, nell’ormai abituale sede dell’auditorium “G.Cesarini” di Sapri, il maggio musicale promosso dall’Associazione “A.Vivaldi”. Il fisarmonicista Nicola Tommasini e la pianista Angelina Renzullo proporranno un programma composito che spazierà tra diverse pagine di Piazzolla al brano che ha lanciato il suo pupillo Richard Galliano “Tango pour Claude”, una piccola incursione nella musica da film e due pezzi pianistici il Sonetto op.47 del Petrarca di Franz Liszt e il Preludio op.54 ad Attilio Brugnoli di Achille Longo. Diceva Astor Piazzolla che tra la fisarmonica e il bandoneon c’è la stessa differenza che passa tra un limone e un’arancia: per il grande musicista argentino lo strumento di noi italiani era effervescente, acuto, allegro, al contrario dell’interprete privilegiato del tango, segnato da un’aura di malinconia. Piazzolla incontrò Richard per la prima volta intorno al 1980 in un concerto all’Olympia e l’unica cosa che gli rimproverò fu unicamente di non suonare il bandoneon. Questa sera, Nicola Tommasini ci ha regalerà un consistente portrait di Astor Piazzolla con l’interpretazione di Oblivion, brano d’apertura della serata, Adios Nonino, Tanti anni prima, musica segnata da momenti regolarmente in bilico – dato caratterizzante della musica argentina – fra un lirismo allentato e dolente, talora fino alla rarefazione, e picchi di alta drammaticità e forza penetrativa, pagine che fanno parte del sentire di tutti noi, chiuse da Libertango, il cui segreto è completamente svelato nella sua introduzione, in cui il pubblico rimane incantato il pubblico proprio nel suo non offrirgli troppo facili, e in fondo rassicuranti, appigli transtilistici, ma calandolo in un ideale momento di sintesi tra i molteplici rimandi che il musicista intende riecheggiare nel suo stile. Stile alla cui riuscita non sono ovviamente estranei uno spiccato senso della tradizione jazzistica, simbolo del suo personale viaggio, alla scoperta di due fortissimi radici popolari, quella argentina e quella nero-americana, di cui il tango di Piazzolla si nutre e trae quel profilo così marcato. La ricchezza dell’apparato tematico delle opere di Piazzolla, vivificato dal cimento e dall’invenzione del fisarmonicista, nonché dalla propensione trasparente per un eloquio diretto, in cui la perizia strumentale prevarrà sullo scavo concettuale e sulla transidiomicità del repertorio tematico, la forza propulsiva del sentire argentino, quella ripetizione ossessiva in progressione, di alcuni temi, quasi a voler significare che il normale spettatore deve ascoltare più volte quella particolare espressione musicale prima di poterla gustare, simbolo di quel popolo che si è messo finalmente in moto, in “Viaggio”, con la sua musica, il suo simbolo, il “Mito” del tango che allora nasceva. La serata continuerà, quindi con l’esecuzione de’ “Le valse d’Amelie”, di Tiersen la virtuosistica Czardas di Vincenzo Monti, la rumbetta della vita è bella di Piovani, C’era una volta il West di Ennio Morricone. La pianista Angelina Renzullo donerà due pagine care alle ricerche sulla dinamica del tocco pianistico. La prima è la pagina lisztiana ispirata al Sonetto 104 di Petrarca dove anche il tormento d’amore, stavolta, è esplicito «Pace non trovo e non ho da far guerra, / e temo e spero, e brucio e son di ghiaccio… Pascomi di dolor, piangendo rido / egualmente mi spiace morte e vita / in questo stato son, donna, per voi». Liszt inizia con un’introduzione drammatica, una virtuosistica progressione cromatica a due mani in decime e ottave, basata, curiosamente, sulla stessa scala utilizzata da Chopin alla fine della Polacca-Fantasia. Si tratta di una scala di sapore etnico, basata su un’alternanza di tono e semitono, dunque otto suoni all’interno dell’ottava, e che nella sua struttura simmetrica si rivelerà fondamentale per le conquiste avveniristiche del tardo Liszt. La parte centrale, in Mi maggiore, prima molto espressiva poi indicata «con esaltazione» e poi ancora «languida, dolce e dolente» da un lato esprime i sentimenti contrastanti del Sonetto e dall’altro, fra le varie tecniche, tratta liberamente la dissonanza esplorando le peculiari armonie ’androgine’ di Liszt, che armonizzano in modi differenti medesime note della melodia. La seconda è un brano di raro ascolto, il Preludio op.54 dedicato ad Attilio Brugnoli dal grande Achille Longo, esimi rappresentanti della scuola pianistica napoletana e di quella dinamica del tocco che riesce a far cantare il pianoforte.