di Matteo Gallo
Nel segno della fede: religiosa e cattolica, politica e democristiana. Salvatore Memoli ha sessantotto anni e un amore originario per la città di Salerno che attraversa per intero il corpo della sua esistenza privata e pubblica come una spina dorsale senza cedimenti. Avvocato e manager di brillante corso, giornalista e autore di diversi libri, esponente autentico dello Scudocrociato, consigliere a Palazzo Guerra dal 1985 al 1996 e per un solo mandato a Palazzo Sant’Agostino dal 2009 al 2014, ha in dote un cuore sensibile che trasuda umanità da tutti i ventricoli. La distanza che ci separa, adesso che è protempore nell’adorata Tunisia e risulta impraticabile la strada della conversazione ravvicinata a volti specchiati, viene letteralmente azzerata da quel suo animo gentile che diviene parola delicata eppure robusta, tagliente rispetto alla realtà dei fatti ma trascendente nei confronti di quell’oltre, nella direzione dell’Altissimo, cui spesso fa riferimento. Una parola concisa, senza alcun spargimento di inchiostro digitale superfluo, che fa della misura contenuta la misura abbondante della sua chiarezza. Cavaliere della Repubblica e dell’Ordine di Malta, resta un protagonista vero e di profilo alto della politica salernitana. E non solo.
Avvocato Memoli, quando e come nasce la sua passione (per la) politica?
«Sono cresciuto in Azione Cattolica. Il mio Papa era Paolo VI; con lui, noi giovani abbiamo respirato il Concilio, una visione positiva e bella della politica e dell’impegno attivo. Il Papa non faceva mistero di essere figlio di un deputato popolare e non ha mai nascosto la sua stima ed il suo sostegno ad Aldo Moro. Il suo insegnamento mi ha contagiato. Ho vissuto nel giovanile Dc, ho partecipato alle scuole politiche di Donat-Cattin. Le ho ritenute un mettere in pratica i valori dell’ Azione Cattolica. L’Arcivescovo Pollio mi accompagnò nella scelta politica: “Vai, potresti essere una prima pietra”. Don Angelo Visconti preconizzò il mio percorso: “Sei un outsider”!».
La Dc è stata, per lei, ‘solo’ un partito?
«La Democrazia cristiana è la mia vita politica. Quanti esempi positivi, quante personalità donate all’impegno politico. Da Sturzo, De Gasperi, Dossetti, Fanfani, Moro, Andreotti ho avuto esempi luminosi davanti a me».
Quali i “suoi” valori democratico-cristiani?
«Il Codice di Camaldoli del 1943. É tutto scritto lì. Si potrebbe ripartire da quello».
Chi sono stati i suoi maestri?
«I semplici, quelli che hanno dato e non preso. Ne ho incontrati tanti, a tutti i livelli».
Com’era fare politica a Palazzo Guerra negli anni Ottanta?
«Il livello era alto ma era alta la contaminazione esterna, la lobby politica. Non parlavano i consiglieri comunali, decidevano i deputati e i partiti».
Nel 1987 la ‘seconda svolta’ di Salerno con la giunta laica e di sinistra guidata dal socialista Vincenzo Giordano. In molti attribuiscono a quella esperienza di governo la vera paternità politica della stagione deluchiana sul versante urbanistico.
«La stagione urbanistica di Giordano in realtà era un’eredità politica di Scozia e di Napoli. Poi la manovra urbanistica fu incentrata sulla legge 219/81 di cui utilizzò i finanziamenti. De Luca ha fatto altro, non sempre condivisibile ma ha avuto altre visioni politiche e territoriali».
Quella stagione politica fu spazzata via da Tangentopoli, a Salerno come in tutta Italia.
«La tangentopoli non è un romanzo di appendice. Era il best seller di alcuni politici, anche di tanti poi assolti. I percorsi politici e quelli giudiziari non si sovrappongono. Spesso ho conosciuto tanti impuniti».
Il sindaco Vincenzo Giordano e alcuni uomini di punta della sua amministrazione subirono l’onta delle manette, con grande clamore, salvo poi essere assolti molti anni dopo. Giustizia, media, politica: l’Italia ha imparato la lezione?
«Non l’ha imparata perché nessuno voleva veramente insegnarla. Le corruzioni sono trasversali e non ci sono organi dello Stato o profili istituzionali indenni alla inclinazione patologica».
Durante il periodo della detenzione in carcere lei scrisse una lettera di profonda vicinanza al sindaco Giordano, riportata da quest’ultimo nel libro “Salerno Socialista”.
«Vincenzo Giordano è stato un grande amico. Era bello stare insieme, parlare, approfondire tanti progetti, verificare i nostri differenti percorsi. A me ha insegnato ad essere leggero, immediato, abiurando a qualsiasi retorica. Tra noi parlavamo di Dio ed una volta l’ho portato in un Monastero di Clausura (nessuno lo sa!)».
Nel 1993, dopo lo tsunami di Tangentopoli, il primo mandato di De Luca alla guida del Comune.
«Una rottura di schemi politici. In quegli anni voleva capire, agire, selezionare i partners, oltre i partiti».
Proprio “in quegli anni” verrà riconosciuta a De Luca una spinta incredibile, politica e amministrativa insieme, a beneficio dell’intera città. Quella spinta si è poi esaurita?
«In parte si è trasformata. Lo stesso De Luca ha imbarcato tutti i suoi oppositori e fatto fuori me. Non so se abbia fatto bene o male ma so che è uomo intelligente e sa darsi le risposte giuste, tra idealità della prima ora e convenienza successiva».
Prima Mario De Biase, ora Vincenzo Napoli. Nella città di Salerno il governatore campano non perde mai un match elettorale anche quando non è in campo direttamente lui.
«De Luca ha creato un sistema politico. Non è una brutta parola, vuol dire che il progetto richiede un coordinamento di scelte, di contenuti politici, di dialogo elettorale. Nessuno può derogare agli impegni condivisi, aggiungendo personalismo o revisione politica».
De Luca le ha riconosciuto capacità politiche in senso ampio, in particolare sul fronte manageriale. Oggi però, per sua stessa ammissione, il vostro rapporto è cambiato.
«Non sono cambiato io. E’ cambiato lui! Lo capisco e non lo giudico. Aveva in testa un progetto politico che coincideva con il suo sconfinato senso dell’ego. Come se volesse riscattarsi da qualcosa. L’ho sempre ritenuto vicino a Rocco Scotellaro. De Luca è migliore di se stesso ma deve far vedere che è cattivo! Gli riesce bene».
Lei lo conosce molto bene…
«De Luca è un uomo concreto. Primo: non ha mai posposto Salerno ai suoi interessi politici. A quest’ora avrebbe fatto il Ministro e forse altro. Ma ha scelto Salerno e non Roma! Questo conta!»
Azienda del Gas. Consorzio intercomunale delle farmacie pubbliche. Salerno Solidale. Automobil Club. A quale esperienza manageriale è più legato?
«A tutte, perché a tutte queste realtà ho dato la mia vita intellettiva, morale, professionale e politica. Se proprio devo fare un distinguo, come un dolore per il distacco che mi è rimasto dentro, dico la Casa di Riposo e tutti i suoi abitanti anziani e personale. Sono stati la mia famiglia… ma un politico non parla così!».
L’impegno da manager: più croce o delizia?
«Per un cattolico, i percorsi partono ed arrivano a Dio. Talvolta Lui li ferma, per il nostro bene».
Alle ultime elezioni comunali ha sostenuto la candidatura a sindaco di Michele Sarno dopo essere stato in corsa per una candidatura alla guida di Palazzo Guerra.
«Ho ritenuto che sul mio nome non c’era convergenza. É assai difficile, in politica, che qualcuno ti riconosca che sei più bravo di lui»
Esiste uno spazio per i cattolici in politica?
«La vedo dura. Col maggioritario, l’identità è scomparsa, annacquata, svanita. La stessa Chiesa è insofferente ad un’identificazione sostanziale con un partito».
E lo spazio per i valori cattolici?
«Siamo tutti un po’ protestanti. Ci siamo presi l’ardire d’interpretare tutto, di pensare di avere ragione a danno del disegno politico di Sturzo e De Gasperi».
Si sente un militante della fede?
Mi sforzo di essere un testimone, ma è una sfera molto privata, non è validata né aspira ad esserlo, in questa fase!»
“Vincere il mondo, non nel mondo”. Per lei, uomo di fede, cristiano e cattolico, in che modo è possibile coniugare questa affermazione con la pratica della politica che è anche gestione del potere?
«É di una semplicità estrema. Gli elettori ci affidano le priorità. Basta essere coerenti ed onest!».
Il suo migliore pregio.
«Essere buono».
Il suo peggiore difetto.
«Essere buono e scambiato per fesso!».
La battaglia politica di cui va più fiero.
«Tante, senza presunzione. Devo a De Luca molto. Gli porto gratitudine, a De Biase e a lui, per avermi nominato presidente di Salerno Solidale. A De Luca sono riconoscente per avermi consentito di realizzare il Centro diurno di accoglienza degli anziani che ancora esiste».
Qualcosa invece di cui si rimprovera?
«Non aver capito per tempo quando la politica soffocava i miei ideali di laico cattolico».
“Certi amori non finiscono, fanno dei giri enormi e poi ritornano…”. Trova sintonia tra questi versi e il suo rapporto con la politica?
«Esatto. Ma gli anni fanno capire tante cose!»
Insomma: cosa vuole fare da grande?
«Quello che ho sempre fatto, perfezionandomi».