Il cinema non morirà mai. Parola di Gabriele Mainetti, regista sceneggiatore e produttore italiano ospite nella giornata di ieri della cinquantaduesima edizione del Festival di Giffoni. Il quarantacinquenne romano, che ha firmato i film ‘Lo chiamavano Jeeg Robot’ e Freaks Out, due straordinari successi di pubblico e di critica, è stato accolto con grande entusiasmo dai giurati della rassegna “più necessaria al mondo”, come la definì Francois Truffaut. E proprio a loro ha voluto dedicare parole significative durante un incontro all’interno della Sala Verde della Multimedia Valley: “È una grandissima emozione vedere tanti giovani che amano il cinema. Giffoni è un posto speciale e prezioso. Grazie a luoghi come questo, grazie ai sentimenti che animano questi ragazzi, il nostro cinema è destinato a vivere per sempre”. Mainetti si è soffermato in particolare sulle difficoltà vissute dal settore negli ultimi anni: “La pandemia ha paralizzando l’attività delle sale. Le piattaforme on demand ne hanno immediatamente approfittato facendo il pieno. E’ senza dubbio un momento di difficoltà. Inutile nasconderlo. Gli incassi non sono quelli di un tempo. Ma sono sicuro si tratti solo di una fase di passaggio”. Il regista italiano ha messo al centro del discorso la qualità delle pellicole: “Il cinema è un evento speciale. Ho sempre pensato e cercato questo tipo di cinema ed è anche quello che provo a fare. Per lasciare il divano di casa e andare a guardare un film, pagando magari per qualche titolo lo stesso prezzo di un abbonamento a una delle piattaforme presenti sul mercato, devi avere una ragione speciale. Questo ragione è appunto il cinema, con la C maiuscola”. Mainetti si è laureato in Storia e Critica del Cinema presso l’Università degli Studi Roma Tre. Nel 2016 ha ricevuto il premio come miglior regista esordiente al Nastri d’Argento proprio per Lo chiamavano Jeeg Robot. Per lui l’esperienza della sala è ”unica e Inarrivabile” perché consegna agli spettatori emozioni forti in forma individuale. “In questo lavoro” ha sottolineato- conta l’intuizione, il lampo di genio. Guai davvero a reprimere il processo creativo. Detto questo, però, bisogna imparare a controllarlo. Il talento, alla fine, pesa al cinque per cento. Il resto dipende dall’impegno che ci metti, dai sacrifici che sei disposto a fare per raggiungere gli obiettivi”. Mainetti si è spinto anche oltre: “Ognuno di noi è un talento. Questo talento è ciò che ci abita dentro in maniera autentica. I maestri sono importanti. Come lo è farsi ispirare dai grandi della storia del mondo e trarre insegnamenti da loro. Naturalmente come lo è studiare, e tanto. Ma la nostra unicità è ciò che veramente fa la differenza”. Mainetti ha spiegato di ispirare la sua opera professionale esattamente a questo principio: “Nei miei film metto chi sono. Ho una doppia anima come tutti. Come i personaggi che racconto sul grande schermo. Persone semplici, umanissime, fragili e forti, egoiste e generose”. La cinquantaduesima edizione del festival di Giffoni è dedicata agli ‘invisibili’. Un tema attuale e particolarmente caro al fondatore e direttore del Festival: “Per tutta la vita mi sono sentito invisibile” ha ammesso Mainetti. “E’ una condizione che appartiene all’uomo. Personalmente, entro ed esco dalla invisibilità ripetutamente. Riesco a tirarmene fuori solo grazie all’amicizia. La vita non ha senso se non la condividi con gli altri”.
(m.g)