DI Alberto Cuomo
Nel polittico esposto agli Uffizi di Firenze e dipinto nel 1333 da Simone Martini e Lippo Memmi, nella tavola centrale raffigurante l’Annunciazione, l’Arcangelo Gabriele, portatore del messaggio di Dio, è circonfuso di luce dorata nella piena gloria divina sebbene in terra. È da notare che mentre presso Giuseppe, a rassicurarlo in sogno che la sua donna è pura, si reca un Angelo, ad offrire l’annuncio a Maria è, nella veglia, un Arcangelo, mostrando già in questa differenza il diverso valore del comunicato divino. Al saluto dell’Arcangelo, “Ave o Maria piena di Grazia”, la fanciulla, come è nel dipinto, si ritrae sgomenta interrogandosi forse sul significato di quel “piena di grazia” che non è dato parimenti a Giuseppe. E Gabriele le spiega: “Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”. E qui lo sgomento si aggiunge allo sgomento: “Sono sempre stata nella grazia di Dio, come potrò partorire se sono pura?” sembra dire Maria. Ma l’Arcangelo le spiega che a Dio nulla è impossibile e il dialogo si chiude con il consenso della fanciulla eletta: “Amen”. Certo, Dio avrebbe potuto incarnarsi da sé stesso, ma è necessario che egli si faccia uomo al modo degli uomini perché l’immedesimazione nell’umano sia realizzata e non solo, dal momento potrebbe colmare di sé una donna ignara, invece, perché il figlio sia riconosciuto è altresì necessario il consenso dell’eletta: così sia. E però l’Amen di Maria è segno della sua umiltà anche in quanto presago del destino goòoroso del figlio cui è unito il proprio. Quel figlio che verrà per essere una spada “Non pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare una pace, ma una spada… Sono venuto a separare l’uomo da suo padre e la figlia da sua madre e la nuora da sua suocera, e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa” (Matteo 10,34 e 10,35). Una spada che chiede la de-cisione per lui anche a costo di negare la famiglia di cui si fa parte e che Maria proverà nel proprio cuore. Da questa consapevolezza legata al consenso, all’accettazione anzi, del dettato divino, Maria si ergerà maestosa nell’Annunciazione che fa parte delle “Storie della croce” di Piero della Francesca dipinte nella Basilica di San Francesco ad Arezzo, un secolo dopo la composizione del polittico, dove sembra sia l’Arcangelo ad apprendere da lei. E tuttavia sebbene rappresentata come una imponente rocca già in Masaccio oltre che in Piero, la giovane Donna è imperturbabile nel suo patire e sempre un’ombra di dolore legherà la Madre al Figlio. Ciò nelle glikophilouse, nelle madonne dal dolce bacio con bambino dell’iconografia bizantina riprese da Andrea Mantegna in due dipinti, conservati l’uno al museo Poldo-Pezzoli di Milano e al Museo di Berlino l’altro, nei quali la Madonna sorregge il capo del figlio pesantemente addormentato, in pannolini che rimandano al futuro sudario, a presagire il più drammatico sonno finale che vedrà ancora Maria sorreggere il capo di Gesù. Una Madre misericordiosa nel senso letterale del termine che indica la distruzione del cuore dal cui dolore sorge la pietà verso l’umano che si rivolge a lei attendendo speranze. La nascita che celebriamo nella festa del Natale non è quindi solo evocazione di un futuro di fiducie richiamate negli “auguri” ma anche, nella figura di Maria, premonizione del dolore che si manifesta nella croce. Ed è questo dualismo che la Madre ci indica ancora nella Trinità dipinta da Masaccio nella Basilica di Santa Maria Novella a Firenze, dove il figlio è mostrato crocifisso sotto l’immagine dello Spirito Santo rappresentato da una colomba bianca su cui sovrasta quella del Padre. Qui infatti Maria si mostra, si direbbe impassibile, mentre con la mano sollevata indica la croce con Gesù morto. Ed è come se dicesse “Ecce” a ricordarne appunto l’avvento che non può non convivere con il destino del sacrificio esplicitamente esposto. Un sacrificio che conduce Maria accanto alla Trinità elevandola a puro spirito cui si sottrae la carne, lo stesso carattere generativo. Un sacrificio, cui attende l’avvento, che dovremmo ricordare pur nella festa per la nostra possibile liberazione, e che certamente non onoriamo rimpinzandoci nei cenoni e gustando dolciumi di ogni tipo. Auguri.