Delusione al teatro Verdi per l’allestimento della più amata e frequentata delle commedie di Eduardo, da parte del nipote Luigi De Filippo
Di OLGA CHIEFFI
Se il caffè nella tazza di Lucariello non c’è mai stato, il primo riallestimento di un De Filippo, di Natale in casa Cupiello, dopo la scomparsa di Eduardo e di suo figlio Luca, da parte di un Luigi, ottantaseienne, figlio di Peppino, ha ricevuto la stessa condanna del caffè di Concetta, da buona parte del pubblico del teatro Verdi di Salerno. Se si è scelta la messinscena tradizionale, come quella voluta da Luigi De Filippo, con gli stessi abiti, le stesse corone in testa dei Magi, lo stesso “strummolo”, tra le mani di Tommasino, si sarebbe dovuto rispettare almeno il testo, come pubblicato nella cantata dei Giorni Pari da Einaudi, quella che conosce a memoria il pubblico, col caffè che puzza ‘e scarrafone, la regina della frittata di cipolle, l’alfabetico e la rispostera, le cui battute sono entrate nel linguaggio comune, in particolare in quello di noi campani. Luigi De Filippo, crediamo anche per problemi fisici, in particolare ad una gamba, ha dovuto cucirsi addosso un po’ l’intero primo atto, eliminando le entrate e le uscite, ma questo glielo concediamo, nel rispetto di un uomo che, bene o male, ha calcato le tavole di un palcoscenico per l’intera esistenza. A cosa serve sostituire gli stacchi a sipario chiuso delle evocative zampogne, con una ballata e chiudere il terzo atto con la danza di Rossini, eliminare d’un tratto le pause e i silenzi, il dubbio, le attese, le lungaggini, gli sguardi, la ricerca sulla camminata, sulla parola eduardiana, che racchiude tanti significati, cassare gli approfondimenti sociologici, come il compiacimento di Luca per l’agiatezza del genero, per la sua “bellissima” casa, che ha anche un “pianoforte”, che non sanno suonare, o tagliare l’ossessione del Presepe, la gara con Pastorella del terzo piano, il progetto, le case stile ‘900, il ritmo del dialogo tra Nennillo, Lucariello, Concetta, praticamente una vera e propria invenzione a tre voci, in doppio contrappunto, reintroducendo, però, le didascalie affidate al medico, come nel manoscritto del ’34, poi eliminate nell’economia della commedia, per eccesso di didascalismo? La recitazione di Luigi De Filippo, come la sua regia, ha fatto il pari con i tagli e le aggiunte, schizzando un Lucariello piatto, bonario, ove è apparsa solo nella parola scritta la guerra fra i due bambini, entrambi caparbi ostinati e dispettosi, come recita la didascalia, sul vero protagonista che è il Presepe, “Te piace?” “Nun me’ piace!”, far realizzare una Concetta non lontana dalle desperates housewifes, con i suoi scatti isterici, esagerati, circensi, nascosto l’amaro, il lato oscuro, il sinistro della parola di Eduardo, sempre e comunque presente anche nel candido personaggio di Lucariello. A fine della passerella finale abbiamo dovuto essere eruditi da Luigi De Filippo anche sulla modernità di questa “commedia giovanile, piacevole”. Nel teatro si è sempre giocato sui dissensi tra padre e figlio, sull’adulterio, così ha spiegato il capocomico, ieri come oggi, la moglie spera che il marito cambi e non è così, e il marito invece che la donna non si trasformi, invece, si hanno le amare sorprese. Crediamo che i temi universali di questo scritto siano ben altri, l’incomunicabilità tra il linguaggio del sogno, della fantasia e quello duro della realtà, il dramma del passaggio, la relazione del mondo circostante con quello dell’Io, le presenze, semi che ritroveremo ne’ Le voci di dentro e in Questi fantasmi. Ben vengano, allora, le riletture rivoluzionarie di Antonio Latella o di Fausto Russo Alesi, che sono riusciti a comunicare l’effetto straniante di questo capolavoro, il sognatore viene soffocato dal primo, mentre nel secondo si pone in luce la solitudine assoluta di Lucariello, abitante per caso di un mondo precario e, quindi, destinato a ritornare nel suo attraverso la morte. Il Natale è un rito di passaggio e questa, come il rito cristiano, è una commedia sulla memoria e sulla possibilità di trasmettere sentimenti e cultura da una generazione all’altra. Uscendo dal teatro una voce: “Non ti preoccupare bella del nonno, se la ridanno in televisione, ti faccio vedere come è la vera commedia, recitata da Eduardo”.