Riccardo Muti e l’Orchestra Luigi Cherubini hanno inciso nel teatro della reggia di Caserta Le ultime sette parole di Cristo sulla Croce di Franz Joseph Haydn. Si pensa ad una rassegna musicale per giovani talenti nel piccolo San Carlo costruito dal Vanvitelli
Di Olga Chieffi
Questa sera Rai 5 proporrà l’esecuzione del “Die sieben letzten Worte unseres Erlösers am Kreuze” di Joseph Haydn, opera scritta e ispirata alle sette frasi, tratte dai Vangeli, pronunciate da Cristo morente, nella interpretazione di Riccardo Muti e della sua orchestra Luigi Cherubini. Una registrazione realizzata in dicembre che per il governatore Vincenzo De Luca è stata un’ennesima dimostrazione di affetto per la sua terra da parte del maestro Muti, riaprendo anche se solo a distanza il Teatro di Corte”, spazio da recuperare al massimo per la musica in una Reggia di Caserta che da cinque anni ospita in estate nel Cortile e nell’Aperia i grandi protagonisti della classica e della lirica con la rassegna “Un’estate da re” affidata all’esperienza del Maestro Antonio Marzullo, il quale insieme alla direttrice della Reggia, Tiziana Maffei, pensa ad una rassegna musicale dedicata ai giovani e più dotati talenti, grazie alla sua straordinaria acustica che ne fa un piccolo San Carlo, come d’altra parte della stessa mano è il nostro teatro Verdi. Avanti l’opera, sarà trasmesso un intervento di Massimo Cacciari che porrà in relazione la Crocifissione del Masaccio, ospite della reggia di Capodimonte e l’opera di Haydn, nata per il gran teatro della Passione, di estrazione spagnola, che noi campani abbiamo ereditato: “Circa quindici anni fa – scriveva Haydn – mi fu chiesto da un canonico di Cadice di comporre della musica per Le ultime sette Parole del Nostro Salvatore sulla croce. Nella cattedrale di Cadice era tradizione produrre ogni anno un oratorio per la Quaresima, in cui la musica doveva tener conto delle seguenti circostanze. I muri, le finestre, i pilastri della chiesa erano ricoperti di drappi neri e solo una grande lampada che pendeva dal centro del soffitto rompeva quella solenne oscurità. A mezzogiorno le porte venivano chiuse e aveva inizio la cerimonia. Dopo una breve funzione il vescovo saliva sul pulpito e pronunciava la prima delle sette parole (o frasi) tenendo un discorso su di essa. Dopo di che scendeva dal pulpito e si prosternava davanti all’altare. Questo intervallo di tempo era riempito dalla musica. Allo stesso modo il vescovo pronunciava poi la seconda parola, poi la terza e così via, e la musica seguiva al termine ogni discorso. La musica da me composta dovette adattarsi a queste circostanze e non fu facile scrivere sette Adagi di dieci minuti l’uno senza annoiare gli ascoltatori”. L’evento nasce dalla pubblicazione di Massimo Cacciari e Riccardo Muti pubblicata lo scorso autunno per le edizioni de’ Il Mulino, e si attaglia perfettamente ai tempi che stiamo vivendo. Se dobbiamo unire le due opere d’arte visiva e musicale, con Masaccio si sente, nella carne, l’urlo di dolore e di angoscia della Maddalena, raffigurata soltanto di spalle, con lo spettatore che viene travolto dalla disperazione e dal più grande urlo di dolore della storia dell’arte’. Il volume contiene l’analisi musicale di “Le sette parole di Cristo” di Haydn, tratte dai Vangeli di Luca e Giovanni, da “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno” a “Padre nelle tue mani consegno il mio spirito”. Le parole cedono, successivamente, il posto alla musica che, dal maestoso iniziale, attraverso sette stazioni, arriva al vertiginoso “Terremoto” in Do minore, dove raggiunge vette sublimi, grazie anche a un linguaggio strumentale che riesce a penetrare, nel profondo, il dramma di una umanità intera. Muti spiega, da par suo, in che modo l’opera si sia ispirata alle sette frasi pronunziate da Cristo prima di morire. «Pater, dimitte illis quia nesciunt quid faciunt». Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno. La parola-chiave, fa notare Muti, è la prima, «pater», evocata dai violini, con un tono contemplativo e malinconico in cui Cacciari coglie, oltre alla richiesta di perdono, il disincanto sulla natura di «quelli», di noi esseri umani. «Hodie mecum eris in paradiso». In verità ti dico: oggi sarai con me in paradiso. L’oggi, fa notare Cacciari, è l’oggi perfetto: un “Hodie” eterno, che indica quello che sta per accadere nel giro di poche ore e nello stesso tempo dà la misura dell’eternità. «E infatti — risponde Muti — le note sono: “do-mi-re-si-do”, Haydn parte dal do e torna al do, e poi “sol-do-si-la-sol”, si parte dal sol e torna al sol — quindi si formano come due cerchi”, appunto il simbolo dell’infinito: “Idea consapevole oppure mistero del genio?”. “Mulier, ecce filius tuus”; Donna, ecco tuo figlio. Qui la parola-chiave è “ecce”. La sonata ha inizio con due corni. Una scelta ardita, che gli autori leggono alla luce del grido muto del Cristo di Masaccio e del pianto non solo della Madonna e di San Giovanni ma anche e soprattutto della Maddalena. Particolarmente toccante è “Deus meus, Deus meus, ut quid derelequisti me?”; Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Per restituire la frase più drammatica, la musica deve esprimere un senso di trascinamento; il suono a un tratto si ferma, “come fossero singhiozzi”, chiosa il maestro. Mancano le parole riferite da Matteo riguardanti il “Terremoto”, in assenza della Resurrezione. È come se Masaccio fosse consapevole che nessuna immagine, per quanto geniale, possa raffigurare la solitudine della sofferenza. C’è qualche via d’uscita? Quando la parola rivela la sua impotenza, bisogna pensare per immagini. Se le immagini vacillano nel voler catturare il non raffigurabile, rimane la musica. Il grido non è più afono, riacquista la voce mediante la “tavolozza sonora” di un musicista come Franz Josef Haydn, che ha composto le sette suonate nel 1786 per le sette ultime parole del Cristo in croce. “I suoni”, sostiene Cacciari, “sono i mezzi più immateriali di cui disponiamo per comunicare. Dopo i pensieri. Ma è difficile comunicare da pensiero a pensiero”. Allora la musica ci viene in aiuto. Haydn crea una composizione dove realizza un perfetto equilibrio tra parole e musica, “senza perdere il senso della drammaticità della Crocifissione”. Così, nella quinta sonata che si fonda sulla richiesta del Cristo, Sitio, ho sete, “la musica ci trasporta in questo mondo dove la realtà irrompe con tutta la sua forza e implacabilità”, secondo l’interpretazione che fornisce Muti. Possiamo, nei tempi oscuri di quest’epoca, trasfigurare dolore e amore in musica? Muti e Cacciari lo credono fermamente, e sotto quell’icona il pensiero, il pensiero di entrambi infonde immagini e immaginazione. Il dolore si può esprimere attraverso il colore o attraverso la musica, c’è infatti chi sostiene che il colore lo si possa ascoltare, come il silenzio. Interpretare significa, per Cacciari, scoprire il suono, sia della parola che del colore, tanto che la “Crocifissione” riesce a conferire al silenzio una ispirazione mistica, un modo di trasfigurare il dramma in elemento musicale e di trasformare il mistero della Croce nel mistero della fede.