Successo per “Birre e Rivelazioni” l’intenso atto unico di Tony Laudadio applaudito alla Sala Pasolini di Salerno
Di GEMMA CRISCUOLI
Un pub accogliente, due chiacchiere davanti a un buon bicchiere, le canzoni di Simon e Garfunkel che raccontano il respiro libero di chi si apre al mondo, senza ipocrisie. Cosa desiderare di più rassicurante? Eppure è in ciò che è familiare che si scavano le crepe più profonde o si intrecciano –fuori binario- distanze impensate. Applaudito alla Sala Pasolini nell’ambito del cartellone di Casa del Contemporaneo, “Birre e rivelazioni-atto unico in otto birre”, scritto, diretto e interpretato da Tony Laudadio al fianco di Andrea Renzi è un lento studiarsi che diventa duello verbale, in cui le parole spingono corpi e coscienze fino ai margini di un gioco al massacro, uno psicodramma che è seduzione del proibito e solitudine dell’assodato, destinato a crollare inesorabilmente sotto il suo stesso peso. Il proprietario del locale, Sergio (Renzi, che crea il suo personaggio con un’immediatezza ruvida e intensa ben lontano da qualsiasi eccesso o tentazione caricaturale) si crede un padre del tutto all’altezza del suo compito: si illude di comprendere il figlio Francesco, allievo di Marco (Laudadio, che sa conferire una forza spiazzante alla leggerezza e alla sicurezza del demiurgo), oscillando tra ironia e attenzione. Sarà il docente a togliergli il sonno: il ragazzo è anche attratto dagli uomini in una confusione di istinti e ha baciato Marco, divenuto il suo confidente. Sospetto, rancore, senso di inadeguatezza e bisogno di marcare il territorio si insinuano tra i due adulti che non si contendono solo il giovane, ma gettano sul tavolo tutto ciò in cui credono (la cosiddetta normalità per Sergio, la necessità di ascoltare la natura per Marco). E quando il professore costringe il padre all’umiliazione e ad offrirsi in cambio di un sostegno puramente psicologico al figlio, ormai alla deriva, ecco cadere la maschera: il docente si è finto aguzzino perché il suo interlocutore capisse il prezzo spesso terribile che la diversità è costretta a pagare. Hanno imparato l’uno dall’altro: il proprietario ha mostrato quanto conti per lui l’amore, il coprotagonista ha evidenziato il valore del rispetto. Forse diverranno amici o chissà altro. E non è un caso che gli incontri siano scanditi dalle birre. Conoscere l’altro significa scendere in lui e in se stessi come l’alcol scende nel corpo. Farsi contaminare dall’altro è l’unico modo per comprendersi, anche a costo di sentirsi in balia di ciò che non si immaginava possibile. Come la birra accarezza la gola, così le parole devono impregnare la carne, finchè tra i pregiudizi nasca un’idea in cui ritrovarsi.