«Mio figlio era quello “scemo”, studia per la seconda laurea» - Le Cronache Ultimora
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«Mio figlio era quello “scemo”, studia per la seconda laurea»

«Mio figlio era quello “scemo”, studia per  la seconda laurea»

di Erika Noschese

 

 

Negli ultimi anni, l’Italia ha assistito a una crescita significativa del numero di diagnosi di Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA). Secondo i dati del Ministero dell’Istruzione e del Merito, nell’anno scolastico 2022/2023, gli alunni con DSA rappresentavano il 6% del totale degli studenti, con un incremento rispetto al 5,7% dell’anno precedente. Questo fenomeno, che interessa tutti i gradi di istruzione, dalla primaria alla secondaria, è particolarmente evidente nelle regioni del Nord Ovest, dove la percentuale di alunni con DSA raggiunge il 7,9%, mentre nel Mezzogiorno si attesta al 2,8%.

In questo contesto, è fondamentale comprendere le ragioni di tale aumento e le implicazioni per il sistema scolastico e le famiglie. Abbiamo l’opportunità di approfondire questi temi con la dottoressa Giovanna Gaeta, logopedista e presidente dell’Associazione Italiana Dislessici di Napoli, per discutere non solo del quadro nazionale, ma anche della situazione specifica in Campania.

I docenti, a Salerno e in Campania, lamentano un eccessivo e inusuale aumento delle diagnosi di DSA.

«La regione Campania è una di quelle che ha il minor numero di DSA. Noi siamo, dati alla mano, all’1,7-1,8%, mentre il resto d’Italia, più al nord, arriva al 5-6-7%. Quando si parla di aumenti, non riguardano noi assolutamente. Noi non li diagnostichiamo tutti quelli che ci sono, quindi i dati sono bassissimi. Le scuole campane quindi non si possono lamentare. Il resto d’Italia si lamenta degli aumenti: in realtà, noi dell’Associazione italiana dislessici abbiamo dato incarico a un epidemiologo di far analizzare i dati, dai quali è emerso che dal 2014 ad oggi c’è stato un incremento di mezzo punto. Nessun boom di cui tutti dicono. L’unica cosa è che c’è stato un blocco nel periodo Covid, quindi gli anni immediatamente post-pandemia hanno avuto un aumento lievemente maggiorato».

Perché queste polemiche? C’è un aumento rispetto alle generazioni precedenti?

«Ho un figlio dislessico, e dopo la diagnosi anche mio marito ha scoperto di esserlo. Ora: mio marito è del ‘68, e nel ‘68 non si contavano gli aventi DSA. Mio figlio, del ‘99, rientra in questo 5% della popolazione scolastica. Ma uno era prima, uno è oggi. Adesso finalmente vengono contati, perché con la legge 170 escono fuori. Nel momento in cui la legge mi tutela, cerco di avere le tutele che mi spettano. Tenga presente che c’è un altro aspetto da non sottovalutare. Adesso la scuola, per qualsiasi cosa, chiede una diagnosi. Ho 56 anni, alla mia epoca l’ultimo foglio del quaderno aveva la tavola pitagorica e tutti noi ne avevamo accesso. Adesso un insegnante, per far usare una tavola pitagorica, richiede una certificazione, o anche per far scrivere in stampatello anziché in corsivo. Da un lato la scuola si lamenta per un aumento di diagnosi, ma soltanto a loro dire visto che in Campania siamo sotto lo 0, ma dall’altra parte è proprio la scuola che chiede certificazioni di continuo per qualsiasi cosa ai genitori. Quindi è un po’ un controsenso».

Ed è anche un limite imposto.

«Infatti. secondo me, la tavola pitagorica dovrebbe essere accessibile a tutti. Gli insegnanti e i genitori hanno mille paranoie sulle tabelline, per esempio. Mio figlio è laureato in matematica applicata, e adesso sta prendendo la seconda laurea in ingegneria aerospaziale. Eppure, è dislessico e non sapeva le tabelline. Le tabelline sono memoria, non matematica. Così come lo sono i tempi dei verbi, e chi ha un DSA purtroppo cade nella memoria di lavoro. E allora ha bisogno di uno strumento che compensi, come può essere una tavola pitagorica, un formulario di matematica, una tabella dei verbi».

L’accusa di una parte del personale scolastico è che le diagnosi DSA tutelino dalla bocciatura.

«Il bambino con DSA diagnosticato può essere bocciato come tutti gli altri, non vale lo stesso discorso della 104. Può essere rimandato e bocciato. La 170 non dà alcun patentino per la promozione: dice semplicemente che, a fronte di una diagnosi, la scuola deve permettere allo studente di sfruttare strumenti compensativi come mappe concettuali, formulari, calcolatrici e altro ancora. Quindi, non c’è legame tra le due cose».

Perché accusare e polemizzare, allora?

«Forse perché sono ignoranti sull’argomento? Non saprei dirlo, ma se si legge la 170 si capisce che tutti i DSA possono essere bocciati. D’altra parte, io faccio parte anche del Glir, gruppo di lavoro interistituzionale regionale. Ogni regione ce l’ha. È un organo che si riunisce con regolarità e lì non è mai venuta fuori alcuna lamentela delle insegnanti per quanto riguarda la bocciatura».

Bisognerebbe evitare i danni della mancanza di informazioni sul tema.

«Assolutamente sì. Mio figlio è classe ‘99, ha fatto le elementari senza la 170, infatti frequentava la prima media quando è uscita. Quando in terza media si fece orientamento per le superiori, le professoresse chiesero dove pensassi di iscriverlo.

L’unico ambito non compromesso era il matematico, quindi pensai di fargli fare lo scientifico. Mi dissero “lei è pazza, lo scientifico?! Luigi non sarà mai in grado di fare un liceo!

Il liceo presuppone un’università dopo, non sarà mai in grado di farla. Guardi, suo marito fa il dentista? Gli faccia fare l’odontotecnico, si studia di meno, è manuale, e lo fa lavorare col papà”. Se non fossi stata una logopedista, presidente dell’Aid e già addentro all’associazione e fossi stata a sentire loro, avrei fatto un guaio non da poco. Mio figlio si è laureato con 110 e ora prende anche la seconda laurea in ingegneria aerospaziale. Secondo loro non poteva prenderne nemmeno una. La scuola è prevenuta, non so se mi spiego: mio figlio era quello “scemo” perché non riusciva a leggere o non aveva voglia di studiare. Sono preconcetti duri a morire, perché radicati nell’insegnante».

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