
di Erika Noschese
Sembra quasi una barzelletta: i balneari, con questa situazione di limbo perenne, sembrano quasi in balia delle onde. Non per colpa loro, visto che i Governi nazionali da oltre 15 anni sono sollecitati sulle questioni relative alle concessioni per il settore, ma finora nulla è stato fatto. Anche in quest’ultima tornata elettorale sembrava che qualcosa di diverso potesse esserci, visto che di concessioni balneari ne aveva già parlato la Commissione Europea, ammonendo l’Italia e invitando il Governo nazionale a trovare soluzioni urgenti e definitive sul tema: anche in questo caso, però, il fumo ha tenuto ben nascosto l’arrosto. Nel frattempo, ci sono realtà come quella di Capaccio Paestum che hanno un po’ di margine di vantaggio rispetto al resto dei Comuni d’Italia sul tema della messa a bando degli spazi, considerando l’estensione della proroga concessa fino al 2033. A confermarlo è Michele Mucciolo, proprietario del “Laura Mare Beach” e presidente dell’associazione “Amare Paestum”. Concessioni prorogate fino al 2027. Per Capaccio c’è più margine: fino al 2033. «Va fatta una puntualizzazione. Per quanto riguarda la proroga al 2027 e il titolo concessorio a noi accordato, rilasciato nel 2020 nel comune di Capaccio Paestum, si tratta di un’estensione al 2033 fatta in virtù di un comma diverso da quello che è stato chiesto dal Consiglio di Stato per le disapplicazioni contestate ad altri Comuni. La legge 145, infatti, di cui è stata chiesta la disapplicazione dal Consiglio di Stato, il Comune di Capaccio l’ha adottata solo nella parte in cui si delineavano le nuove scadenze, quindi la nuova durata di concessione, evitando la parte in cui si dice che la proroga era automatica. Tant’è che il Comune di Capaccio, a differenza di tutti i comuni limitrofi, non ha avuto alcun tipo di ammonimento dall’Agcom per le concessioni rilasciate». Qual è, quindi, la procedura applicata? «Abbiamo seguito una procedura che ancora oggi il codice della navigazione prevede: rilasciare, con un nuovo numero, le concessioni demaniali con una durata diversa dal passato: nel caso specifico, non più 6 ma 15 anni di durata. Le concessioni attuali non sono state prorogate in modo semplice, nel caso di Capaccio, considerando in antitesi Bolkestein e le concessioni attuali: tuttavia le nostre sono state pubblicate e sono valide, fino al 2033». Ciò conferma che il momento è a dir poco delicato. «Stiamo vivendo un momento molto particolare, non soltanto a livello locale ma a livello nazionale. Si sta delineando un eccesso di giurisprudenza: ogni casistica viene infatti rimandata al Tribunale regionale, per cui ogni giudice del Tar sentenzia qualcosa di nuovo, creando una quantità di giurisprudenza che circoscrive eccessivamente una materia tanto complessa, minando il campo legislativo». Ci sono prospettive di semplificazione, in merito? «L’articolo 37 del codice della navigazione potrebbe aiutare, in tal senso: potremmo relazionarci con il diritto d’insistenza. Molti imprenditori locali, infatti, hanno avuto concessioni precedentemente alla Bolkestein, determinando uno sviluppo delle fasce costiere e una professionalità in crescendo. Quando si parla di concessione demaniale si parla del concessionario come specialista, una specialità del tutto italiana: non è soltanto un bagnino o un ristoratore, ci si occupa di turismo, di accoglienza, contesto ben più ampio di come possono essere rappresentate ora le concessioni. Questo ha dato professionalità a una categoria che risulta una eccellenza tipica nazionale». Professionalità che, ad oggi, non sono riconosciute né disciplinate. A partire dalle concessioni stesse. «Disciplinare o risolvere il problema a livello nazionale, ad oggi, è difficile: basti pensare che le concessioni demaniali venivano rilasciate prima per poi poter richiedere un permesso a costruire oggi. Il titolo attraverso cui l’imprenditore poteva realizzare un’infrastruttura, sempre precaria, era stato fatto con concessioni e licenze di permesso a costruire. Rilasciate, quindi, non a scadenza. Oggi si rilasciano concessioni a scadenza ma prima no. Pertanto, abbiamo un territorio nazionale pieno di stabilimenti balneari dove, allo stato attuale, non è ancora dato capire la corresponsione degli investimenti fatti, collegati al merito di aver creato una struttura in grado di creare indotto, turismo, accoglienza, occupazione. Non abbiamo capito cosa e come verranno riconosciuti questi investimenti e queste competenze. Resta sempre più difficile immaginare che ci possa essere un percorso senza ricorsi giudiziari, che saranno eterni e procureranno danni a tutta l’economia nazionale e locale. Le concessioni balneari, in molti casi, sono state e sono ancora attività monoreddito di tantissime famiglie che hanno sviluppato competenze e si sono dedicate 12 mesi all’anno alla cosa: manutenzioni, innovazioni, migliorie che ci sono state negli anni venivano sviluppate nel periodo invernale». Quante di queste imprese rientrano nello schema familiare? «Il 90% delle concessioni balneari è di carattere familiare. Dovremmo immaginare il futuro di questi imprenditori domani: cosa faranno? La migliore delle ipotesi: sono giovani, sapranno reinventarsi. Ma nella stragrande maggioranza dei casi, siamo imprenditori meno giovani, poco inseribili, quindi, in un contesto produttivo diverso».