Il giovane violinista figlio d’arte, in duo con l’eccellente pianista Mari Fujino,ha proposto per l’apertura della rassegna cameristica “I concerti d’Autunno” dell’Accademia Jacopo Napoli, musica che necessita di grande consapevolezza da parte di interpreti e pubblico, come la Sonata n°1 di Sergej Prokofiev
Di Olga Chieffi
Una sonata da far saltare il pubblico sulla sedia, l’idea del vento sulla tomba, i primi due movimenti spesso descritti come cupi, oscuri, tragico, con gli accordi bassi e oscuri affidati al pianoforte, il violino che sembra rappresentare dolore, solitudine, tristezza, angoscia, ma con alcune delle melodie nella parte centrale di rara bellezza, è questa l’essenza della I Sonata di Sergej Prokofiev in Fa minore, che ha inaugurato la rassegna cameristica de’ “I concerti d’Autunno” che ci accompagnerà sino al 15 dicembre, dell’Accademia “Jacopo Napoli”, realizzata da Giuliano Cavaliere. Interpretazione sottile ed espressiva quella del duo composto dal violinista Mattia Pagliani e dalla pianista Mari Fujino, sotto l’occhio attento del maestro Ilya Grubert, presente nella sala del complesso di San Giovanni in Cava de’ Tirreni. L’interpretazione del duo con i due strumentisti in intensa sintonia, ha evocato immagini di un “vuoto popolato”, nell’Andante, come un quadro di Kandinsky, con figure galleggianti su uno sfondo uniforme e indefinito. Diversi gli stati d’animo: levitante, con toni fluttuanti, il violino con sordina, più ricco di toni intermedi e il pianoforte più avvolgente, espressivo, legato, nell’Andante che è sfociato nell’Allegrissimo quasi pieno di gioia, trascinante grazie ai ritmi sincopati, anticipando parte della Sonata per pianoforte n. 7 in Si, op.83., per ritornare ai toni cupi, aspri e minacciosi dei primi due movimenti, che ricordiamo Ojstrach scelse per il funerale di Prokofiev, dopo la giustapposizione di motivi sonori della coda, la luminosa frase e il silenzio. Il violinista ci è sembrato subire una pagina che è da considerare una tra gli esiti più significativi della musica da camera del secolo breve, mentre la pianista è riuscita a coniugare precisione infinitesimale con gesti, timbri, respiri e silenzi che sono risuonati misurati con un’attenzione e una dedizione di lettura sopra le righe. A seguire, la Fantasia sulla Carmen di Franz Waxman, dedicata a Jasha Heifetz , caratterizzata da un intenso e appassionato virtuosismo. E’ stato il momento per Mattia di sciorinare tutto il ventaglio del violino sulfureo, e tutte le potenzialità timbriche e tecniche dello strumento glissando, pizzicati, trilli, arpeggi e rapide scale per terze, unitamente al pianoforte che ha partecipato e sostenute le stesse difficoltà. Cantabilità e musicalità da parte di entrambi con qualche ombra nei suoni flautati del violinista, che devono essere “suonati” e rientrare a pieno nel fraseggio, ma tecnicismo brillante e convinto nel finale con “Les tringles des sistres tintaient”, che diviene una ridda infernale. Finale con la giovanile Sonata per violino e pianoforte op. 18 di Richard Strauss, che denota già una scrittura la cui pienezza, soprattutto per quanto riguarda la parte pianistica, denota l’ormai irreversibile inclinazione dell’autore verso le turgide sonorità orchestrali, con un violino in tessitura acuta ma assai espressiva, che delinea un percorso motivico-tematico attraverso ampi intervalli e repentini cambi di registro. Mattia sfortunato con la spalliera del violino, un po’ ballerina, che ha dovuto risistemare, interrompendo il climax creatosi in sala. Noia che non gli ha permesso di donare al pubblico una esecuzione esemplare, ricercando il giusto slancio lirico, le graduazioni d’intensità, quelle minime inflessioni della pronuncia, la condotta agogica colta qui solo a tratti, che sarà sicuramente in futuro cifra caratteristica dei due protagonisti. Applausi convinti e bis, con la Mélodie, incantevole nella sua connotazione misteriosa, che conclude il Souvenir d’un lieu cher op.42 di Petr Ilic Cajkovskij.