di Michelangelo Russo
L’arresto del mafioso storico Messina Denaro è sicuramente un momento felice per la Repubblica. E’ stata una vittoria della legalità e, aggiungerei, della civiltà democratica dell’Europa. Tutto è avvenuto nella perfetta legalità e nel rispetto, paradossale, dei ruoli rispettivi. Denaro si è arreso senza colpo ferire, nello stile dei mafiosi di rango. Nulla a che vedere con i costumi della delinquenza sudamericana, stile figlio di El Chapo, che fa opporre all’arresto la plebaglia dei seguaci dei cocaleros, con morti e feriti a decine. Quando la partita è finita, i mafiosi giocano l’ultima carta che gli resta: la coerenza, fino alla fine. Cioè l’ultimo messaggio per riaffermare che l’antistato mafioso è comunque un ordine alternativo di organizzazione del mondo che risponde a principi gerarchici e a moduli imperativi di fedeltà e di produttività che rimangono intatti nella concezione mafiosa del mondo. Per cui la cattura del singolo capo, per quanto apicale lui sia, lascia la sopravvivenza certa del sistema tolemaico della Mafia: che crede che l’universo giri tutto intorno alla Terra che sta ferma al centro; Terra che, nella visione mafiosa predetta, non è altro che il principio universale della legittimazione del profitto su ogni altra cosa del mondo umano.
Tutto qui! Perché il capo Mafia latitante dovrebbe urlare, minacciare e dimenarsi al momento della cattura, come uno sguaiato capoclan rionale della cafonissima camorra napoletana?
Nella filosofia mafiosa c’è un che di omerico rimando all’ineludibilità del destino, i cui fili sono tirati dagli dei! Quando i giochi sono fatti, ed arriva la cattura, a volte persino sospirata, è inutile ribellarsi! Il mondo gira ancora intorno al profitto; la missione della Mafia è contribuire a mantenere la regolarità del circolo.
La fine di Messina Denaro è una sentenza senza appello. Perché se lui è finito, la Mafia continua. Perché niente è cambiato ancora nella struttura delle cose. La Mafia ne è consapevole, e quindi la sua sopravvivenza è assicurata.
Non ci sono all’orizzonte vere minacce al sistema. Anzi. I pessimi segnali di sdoganamento dei contanti dati dal governo nei primi passi incerti (poi ritirati) di attuazione di un programma chiaramente liberista sono, anzi, quasi un annuncio di neutralità sul fronte oscuro del riciclaggio, che è il tallone di Achille principale delle Mafie dei 5 continenti.
Senza spingere l’acceleratore sul sistema dei controlli delle operazioni finanziarie e societarie, questo governo, al di là delle dichiarate buone intenzioni, non potrà segnare alcun passo avanti di cui vantarsi nella lotta alla Mafia. Senza accentuare e valorizzare le capacità di contrasto insite nel patrimonio culturale della Magistratura ai tempi di Falcone e Borsellino, col rispetto di quelle intuizioni e con lo slancio della Magistratura tutta di quel tempo felice e tragico insieme dei primi anni ’90, senza questo anelito visibile e riconoscibile, questo governo celebrerà la fine di Messina Denaro con una apparente euforia momentanea, ma con un sostanziale “aplomb” di democristiana memoria dei tempi di Ciancimino. Occorre coinvolgere, per iniziare, nella lotta alla Mafia l’inossidabile corporazione dei Notai. Attraverso di loro passano tutte le manovre societarie che sovente nascondono episodi di riciclaggio ed autoriciclaggio. E occorre che i Procuratori della Repubblica aggiornino i propri Sostituti sull’autoriciclaggio societario.
Ne va della credibilità del loro nome! Forse, proprio da questo piccolo giornale daremo presto notizie su come, su base locale, non sempre si sia fatta la lotta all’autoriciclaggio. E non a quello piccolo!