di Matteo Gallo
«Negli anni Novanta Salerno ha vissuto una metamorfosi resa possibile dall’apertura di una straordinaria stagione di trasformazione urbanistica che ha avuto tra l’altro il merito di rinsaldare e rilanciare il sentimento di attaccamento amoroso verso la stessa città e di fare nascere, dentro ognuno di noi, una maggiore consapevolezza nelle sue potenzialità. Questo amore è ancora oggi lo stesso anche se troppo spesso, quando qualcosa non va nella direzione giusta e si verificano dei problemi, assume la forma del tiro al bersaglio nei confronti di chi opera a Palazzo Guerra». Mariarita Giordano ha la voce ferma come la sua riflessione. Studi classici al liceo Tasso di piazza San Francesco e una appassionata militanza politica a sinistra, prima nei Verdi e poi in Sel, che l’ha portata da attaccare i manifesti per le campagne elettorali a guidare l’assessorato comunale alle Politiche giovanili e all’Innovazione nella precedente consiliatura, la salernitana classe 1979 volge lo sguardo all’indietro per costruire un ponte di collegamento con il presente. La sua lettura della storia è chiara: «I cittadini, categoria alla quale appartengo» sottolinea «hanno il sacrosanto diritto di criticare i propri governanti e di esercitare il dissenso con il voto. Così come, naturalmente, restano titolari del diritto e della possibilità di contribuire in maniera attiva a migliorare la città nelle forme ritenute più opportune». «Negli ultimi tempi, però» ribadisce «c’è una tendenza a puntare esclusivamente il dito contro qualcosa e qualcuno. A farlo con aggressività, quasi per partito preso, senza gli approfondimenti necessari e magari in assenza di una adeguata conoscenza delle questioni sulle quali si esprime un giudizio così tranchant. E’ senza dubbio un atteggiamento che viene da lontano e che riguarda, in generale, il rapporto tra la gente, la politica e i politici. E’ un atteggiamento che non mi piace perché non rende un buon servizio alla verità dei fatti e non porta alcun beneficio concreto alla città».
La politica, quella che in tutti questi anni è stata chiamata a governare la città di Salerno attraverso i suoi rappresentanti, non ha responsabilità in riferimento a questo cambio di atteggiamento da parte dei cittadini?
«La gestione di un Comune è senza dubbio più complicata rispetto al passato; sicuramente lo è in riferimento agli anni Novanta: vuoi per una serie di riforme che hanno condizionato l’efficacia e la tempestività dell’azione della macchina pubblica; vuoi a causa delle minori risorse finanziarie per i ripetuti ‘tagli’ del governo centrale. Per queste ragioni un po’ tutti i Comuni vivono attualmente situazione di difficoltà. Basta pensare che in osservanza a ragioni di trasparenza, garanzia e legalità una amministrazione comunale si trova impossibilitata a eseguire una procedura d’urgenza quando sul proprio territorio esiste una urgenza! E di urgenze, nei territori, come è facile immaginare, ne esistono di continuo. Le lungaggini burocratiche rallentano i tempi dell’intervento pubblico creando inevitabilmente un diffuso malcontento nella cittadinanza, la quale molto spesso ignora i problemi a monte ma ne avverte solo gli effetti a valle. Certo, un amministratore pubblico può sbagliare e il cittadino ha il diritto di criticarlo e di non votarlo più. Ma, ripeto, l’attacco sistematico, un certo tipo di accanimento finanche aggressivo, non fa bene a nessuno e non porta da nessuna parte».
Quale il tuo primo ricordo, non collegato alla politica, degli anni Novanta?
«La promozione in serie B della Salernitana».
E i tuoi luoghi del cuore?
«Le scale del liceo Tasso, la mia scuola. Il cinema Capitol, il Bar Corso e il bar Natella e Beatrice. Ancora oggi, nella immediatezza del pensare, alcuni di quei posti li utilizzo come riferimenti per dare appuntamento alle persone!».
Le persone più importanti di quel periodo.
«Le mie migliori amiche di allora lo sono ancora oggi. Grazie a loro i ricordi di quel tempo sono sempre vivi. Due nomi su tutte: Bianca Maria Rossi e Rosanna Arienzo»
A cosa devi la tua formazione giovanile?
«Gli studi classici sono stati fondamentali. Ho frequentato il liceo Tasso e ne conservo un ricordo meraviglioso sotto tutti i punti di vista. Il vero spartiacque, però, fu per me la strage di Capaci del 1992 in cui perse la vita il giudice Giovanni Falcone. Vissi quel drammatico avvenimento con una profonda partecipazione emotiva provando rabbia, dolore, incredulità, sentimenti di vicinanza nei confronti della sua famiglia e dello Stato italiano. Fu allora che cominciò a lavorare dentro di me quella voglia di cambiare il mondo, di combattere per migliorarlo che si tradurrà prima in attivismo studentesco e successivamente in militanza politica».
Da assessore alle Politiche giovanili hai avuto la possibilità di tornare nuovamente al liceo per motivi istituzionali.
«Quando penso ai mei quattordici anni, al primo anno di liceo al Tasso, mi sembra quasi di catapultarmi in un’altra epoca. Sicuramente in quegli anni vivevamo una socialità piena e intensa e avevamo meno distrazioni tecnologiche con le quali allontanarci dagli incontri e dalle relazioni umane vissute in presenza. Esistevano, inoltre, una maggiore consapevolezza “civica” e un rispetto rigoroso nei confronti della istituzione scolastica. Quel sentimento di rispetto rimaneva tale, per noi, anche quando mettevamo in campo forme di protesta come scioperi, autogestioni e occupazioni. Andrebbe assolutamente recuperato a tutti i livelli, non solo in riferimento alla scuola».
Di chi la colpa?
«Così come è venuta sostanzialmente meno l’educazione civica nelle scuole, la stesso è accaduto nell’ambiente familiare: determinati argomenti e determinate tematiche, fondamentali per vivere con consapevolezza e rispetto delle istituzioni all’interno della società, sono stati un po’ troppo messi da parte».
Quando inizia la tua militanza politica?
«Subito dopo il liceo. Inizialmente mi sono avvicinata al mondo della politica in generale senza alcun tipo di pregiudizio ma, naturalmente, nella libertà e nella consapevolezza piena delle mie idee e del mio sentire. Da questo punto di vista sarò per sempre grata a mio padre che mi ha lasciato in “eredità” un insegnamento di inestimabile valore: la libertà di essere sempre se stessi».
Quella inziale “perlustrazione” come andò a finìlire?
«Con la militanza nei Verdi, partito allora guidato dal segretario nazionale Alfonso Pecoraro Scanio, anche lui salernitano. E successivamente con l’adesione a Sinistra Ecologia Libertà (Sel), grazie alla fiducia che ripose in me Niki Vendola. In questo periodo ho avuto la possibilità di vivere una straordinaria esperienza professionale alla Camera dei deputati al fianco del parlamentare Michele Ragosta. In un partito “piccolo”, del 3 massimo 4 per cento di consensi, tutti hanno un ruolo e tutte le mani hanno un compito. Per la mia formazione è stato decisivo».
All’inizio degli anni Novanta il ciclone giudiziario “Mani Pulite” che cambierà la storia della politica italiana e di molti suoi protagonisti.
«Ho vissuto, nella immediatezza del momento e senza entrare nel merito degli aspetti giudiziari, un sentimento di profonda delusione verso un mondo che per me già allora rappresentava un pilastro della democrazia»
Le nuove tecnologie, in particolare i social network, hanno profondamente modificato il modo di fare politica.
«Le nuove tecnologie hanno velocizzato la trasmissione dei messaggi e facilitato il raggiungimento di una platea particolarmente vasta. Di contro hanno creato un tangibile scollamento dal territorio e una certa distanza dalla gente. Questo ha sicuramente prodotto disaffezione da parte delle persone nei confronti della politica, anche se da questo punto di vista molto aveva già influito la modifica delle legge elettorale con l’inserimento dei cosiddetti listini bloccati. La politica deve tornare sui territori, tra la gente, a casa delle persone per interessarsi dei loro problemi e anche per spiegare, eventualmente, le ragioni per cui non è possibile risolvere quei problemi nella immediatezza».
E il tuo modo di fare politica è cambiato?
«La politica è una mia passione. Mi appartiene, fa parte di me e della mia vita. So fare politica in un solo modo: tra la gente, sul territorio. I cambiamenti “tecnologici” non modificano di una virgola il mio senso della militanza e dell’impegno per la cosa pubblica. Detto questo, sicuramente mi piacerebbe rivedere una politica più aperta al confronto interno e più aperta all’esterno verso la società.
Negli anni Novanta nasce il fenomeno della movida salernitana. Oggi, quel mondo della notte, ha sicuramente meno appeal.
«Probabilmente un confronto dopo trent’anni, che tira in ballo momenti storici profondamente differenti, è complicato e forse azzardato. Le esigenze sono sicuramente cambiate. Le giovani generazioni vivono una maggiore “mobilità”. Tutto è più veloce e forse una passeggiata ha meno “appeal” rispetto ad un cocktail o a una “trasferta” in un locale di tendenza. La cosa più importante, allora come ora, è fare gruppo senza rincorrere modelli sbagliati di divertimento. Sbagliati e non sani».
Dello “spirito” degli anni Novanta, cosa andrebbe recuperato?
«La voglia di stare insieme agli altri nella semplicità e nella intensità della condivisione. Come dimensione autentica dell’esistenza. La socialità, se così intesa e vissuta, ti fa sentire veramente parte di una città e della sua comunità di donne e di uomini».