di Erika Noschese
Milleproroghe meno una. La questione delle concessioni di utilizzo regolamentato delle aree demaniali ai balneari, oggetto di polemica a livello nazionale, non rientrerà infatti nel decreto del governo Meloni. La proposta iniziale era stata fatta – per mezzo di un emendamento di cui la prima firmataria è la senatrice Lavinia Mennuni, vicinissima alla Meloni – per prorogare la scadenza delle concessioni al 31 dicembre 2026 e non più allo stesso giorno di quest’anno. La via di mezzo era la proroga al 2024, ma anche questa è stata bocciata e non sarà presente nel decreto Milleproroghe, anche in virtù del fatto che la scadenza del 31 dicembre 2023 per le proroghe alle concessioni demaniali ai balneari era stata imposta da una sentenza del Consiglio di Stato. Governo impreparato, dunque, che rischia di fare un ennesimo braccio di ferro con l’Unione Europea. Ma ai problemi del Meloni si aggiungono i lunghi ritardi delle Regioni: su tutte la Campania, come affermato da Marcello Giocondo, presidente regionale del Sindacato Italiano Balneari.
Mareggiate all’orizzonte, tra Roma e Napoli.
«La questione nazionale si sta ripercuotendo anche da noi, così come in tutte le regioni che non hanno, in questi anni, mai preso in considerazione la questione demanio. Prima su tutte, la Campania, che ha avuto – con una legge nazionale, 494 del 1993 che ha imposto alle regioni di redigere il cosiddetto piano spiaggia, tecnicamente il Puad, Piano utilizzo aree demaniali».
A cosa serve il Puad?
«È l’unico strumento che le regioni avrebbero dovuto usare per redigere, 30 anni fa, un vero e proprio regolamento. Dopo la redazione del Puad, i Comuni devono redigere un altro piano, legato alle esigenze del teritorio comunale, che si chaima Pad, ossia piano aree demaniali. Questo è un piano che redige ogni singolo Comune in autonomia».
Siamo in alta marea, quindi.
«La situazione è estremamente e vergognosamente tragica. La Regione Campania, da oltre 30 anni, non ha mai messo mano alla redazione di questo piano. Così facendo, ha accelerato una serie di inconvenienti e problematiche, nonché contenziosi tra balneari e agenzia del demanio, in particolare sull’annosa questione canoni che, per dirne una, il Puad avrebbe dovuto risolvere per mezzo della classificazione degli stabilimenti».
Quindi ci sono stabilimenti di serie A e di serie B?
«Tanto per capirci: uno stabilimento di Capri, Ischia o Amalfi, paga lo stesso ammontare di uno stabilimento di Castelvolturno o Pescopagano, zone estremamente disagiate. Gli stabilimenti balneari avrebbero potuto pagare quote di fascia bassa, poiché la zona di riferimento è a bassa valenza turistica, con problemi di erosione della costa e costante atterraggio di migranti. Invece hanno pagato come Sorrento e Ischia, provocando disagi non da poco. Chi non ha potuto pagare, si trova con un’esposizione molto alta nei confronti dell’Agenzia del demanio».
Cosa è pesato di più?
«L’inettitudine e la sciatteria dei nostri amministratori regionali, fino ad oggi, senza fare nomi perché non si tratta dell’ultimo assessore o dell’ultimo funzionario: sono 30 anni che è così. Il fatto di non aver mai lavorato a uno strumento così importante pesa tanto, e avrebbe regolamentato un altro argomento molto ma molto problematico, mai affrontato: le spiagge libere. La Regione Campania non si è mai preoccupata della questione. I Comuni lo hanno mai fatto? Nemmeno. Però oggi siamo accusati di essere occupatori del demanio che si sono appropriati di beni dello Stato, di aver guadagnato miliardi su un bene pubblico».
Per spiagge pubbliche il cittadino intende le spiagge libere.
«Chiedendo a un qualsiasi cittadino di Napoli o Salerno, si noterà che le spiagge libere non sono gestite né con servizi né con salvamento, cioè con l’essenziale per garantirne la vivibilità in sicurezza. Una spiaggia libera con discesa per disabili, con un minimo di pronto soccorso e un bagnino, dove sta? Per trent’anni se ne sono altamente fregati. Adesso, in un momento così critico, necessitiamo di una nuova legge sul riordino della materia demaniale, che ci vede sprovvisti di uno strumento che non ha tenuto conto né delle realtà territoriali, né della mappatura, né delle concessioni esistenti, né degli eventuali sviluppi delle coste in termini di erosione. All’improvviso, in un momento così tragico come quello che stiamo vivendo a livello nazionale, paghiamo in rata unica 30 anni e oltre di totale noncuranza, con tanto di documentazioni che rafforzano quanto affermo».
Cosa possono fare i Comuni, per ovviare anche solo parzialmente a questi problemi?
«I Comuni sono l’ultima ruota del carro. Qui la partita si gioca tra un provvedimento dello Stato, che dovrà ancora arrivare, quindi una legge quadro che dovrà rivedere tutta la questione demaniale così come sancito dalla 494 e dalle indicazioni della Comunità europea. Dobbiamo avere una legge che tenga conto dell’evidenza pubblica, che non parli più di rinnovo automatico, che stabilisca se c’è o meno la disponibilità per altre concessioni in altre aree del territorio. Il problema è grandissimo: lo Stato non reisce a fare quadrato sul demanio marittimo, ma ci sono regioni che non hanno mai affrontato il problema. La Campania è tra queste. Altre regioni come Calabria, Marche, Abruzzo, Lazio, toscana, Veneto e Liguria hanno provveduto a redigere il piano di utilizzo delle aree demaniali. La Regione Campania, pur pressata e additata dal governo perché c’è un probleam legato al demanio, ha partorito la bozza preliminare del piano soltanto ora».
Quale sarà il vostro contributo?
«Il Puad si redige sentendo le organizzazioni sindacali più rappresentative sul piano nazionale. Abbiamo colto l’invito della Regione per presentare le dovute osservazioni alla bozza. Il termine è il 6 marzo: entro tale data dobbiamo presentarle, ma contiamo di consegnare non più tardi della metà di febbraio, quindi ampiamente entro i termini, tutto quanto di nostra competenza. Nelle nostre osservazioni c’è tutto ciò che deve essere davvero rappresentato dal piano: noi siamo gli addetti ai lavori, conosciamo benissimo i territori e diamo lavoro a decine di migliaia di persone, quindi famiglie. Il tema non può essere più messo in secondo piano».
Si regolamenteranno anche le discese a mare, per ogni cittadino.
«Il Puad non deve prevedere niente in tal senso, perché l’accesso al mare è regolamentato da leggi dello Stato e non regionali. Il piano deve recepire queste norme, non deve mica interpretarle. L’accesso all’arenile è libero, sempre. Il giorno in cui mi sarà detto che il lido X non ha fatto passare un signore che voleva andare al mare, il sottoscritto lo denuncerà a nome e per conto del cittadino. Per noi è scontato che il signore possa andare a mare sempre, la questione non si pone».
E sulle spiagge libere?
«Il piano interverrà anche in questo senso, differenziando le aree destinate alle concessioni demaniali, quindi attività turistico-balneari-ricreative, e le aree che Comune dovrà individuare per pubblico utilizzo. In questo caso, il Comune deve dare il suo contributo, comunicando come e cosa si vuole fare. Sono attività che richiedono almeno 2 o 3 anni di lavoro, per poter pianificare tutte le attività sul territorio. Siamo indietro di 30 anni: il grave danno, alla collettività intera, lo ha fatto la Regione».