di Olga Chieffi
Il concerto wagneriano del LXIX Ravello Festival è affidato a Manfred Honeck, uno tra i più apprezzati direttori di oggi, ospite dei massimi festival internazionali e delle più importanti istituzioni musicali, attuale direttore della Pittsburg Symphony Orchestra. Honeck sarà alla testa della Gustav Mahler Jugendorchester, fondata da Claudio Abbado, che vanta direttori ospiti e solisti d’eccezione, come il baritono Matthias Goerne che domani sera, alle ore 20, sarà interprete dei Wesendonck Lieder, nella strumentazione per orchestra di Hans Werner Henze, uno dei massimi compositori tedeschi a cavallo del nuovo millennio. Il programma si aprirà con una riproposta del Siegfried Idyll, pagina icona di questo Festival. Richard Wagner, la mattina di Natale del 1870, svegliò sua moglie Cosima con un dono musicale, il Siegfried Idyll. Il maestro preparò la sorpresa affidandola a quindici musicisti nascosti in fondo alla scalinata della villa di Triebschen. Un regalo che, in una dimensione trasognata e luminosa, voleva rappresentare una situazione familiare di serenità attraverso sottigliezze timbriche e armoniche di rara levità. Il materiale tematico deriva in massima parte dalla musica dell’opera, con l’aggiunta di una ninna nanna popolare tedesca. Per Richard Wagner, tutto è “arte della transizione” e della metamorfosi. Tali caratteristiche emergono in particolare quando l’espressione musicale è posta al servizio del sentimento amoroso. Wagner vede la realtà con occhi mistici e quando ha a che fare con l’amore, come nei cinque Lieder composti sui testi di Mathilde Wesendonck, lo esprime quale potente flusso di energia cosmica, irresistibile mistura di erotismo onirico e voluttuoso desiderio d’oblio che pervade la natura tutta, trasfigurandola. È la stessa energia che inonda la partitura del Tristano e Isotta, di cui i Wesendonck Lieder, stasera eccezionalmente eseguiti dalla voce baritonale, rappresentano una sorta di preludio cameristico, latori di un’energia che trasporta ancora l’eco degli amori incestuosi de’ “Die Walkure” e che, a fatica, le esili strutture del Lied riescono ad arginare. L’orchestra regalerà, poi, la quinta sinfonia di Ludwig Van Beethoven. È un Beethoven titanico, quello della Quinta. Ma è anche un Beethoven più asciutto e meno enfatico rispetto a quello dell’Eroica. La forma stessa è essenziale, senza espansioni retoriche, la coerenza interna rigorosa. I temi sono netti e concisi, come lo scarno inciso d’apertura, un motto di sole quattro note. Così si apre il primo movimento, l’Allegro con brio. Ancora sull’inciso «del destino» è fondato il primo tema, che percorre interamente la Sinfonia rendendola ulteriormente più solida ed unitaria. Proprio a questa estrema concentrazione tematica, a questa sobrietà di caratteri va ricondotta la grande efficacia espressiva che la Sinfonia in do minore esprime. Il primo tempo è forse la più perfetta applicazione della valenza tragica della tonalità di do minore, e della dialettica beethoveniana, basata sul contrasto di due idee, una veemente e una implorante; ma questa perfezione è dovuta innanzitutto alla configurazione icastica del tema – i celebri “tre più uno” colpi iniziali, esposti all’unisono – poi a una tecnica di elaborazione che fa percepire ogni dettaglio come logicamente consequenziale, necessario e imprescindibile; la seconda idea è solo un diversivo, nel fitto reticolato dell’elaborazione, che viene tuttavia interrotta da improvvisi silenzi e singole voci strumentali, dalla valenza angosciante ed interrogativa. In questo contesto l’Andante con moto, in la bemolle maggiore, non ha la semplice funzione di stemperare la tensione, ma piuttosto di mantenerla sempre sottesa; per questo il tema dei violoncelli che costituisce la tranquilla idea portante del movimento, cede più volte il passo ad una improvvisa accensione degli ottoni, che preannuncia l’esito di tanti conflitti. Con lo Scherzo si torna non solo alla tonalità minore iniziale, ma anche al medesimo inciso tematico, solo variato ritmicamente; è questo il movimento chiave per donare coerenza alla Sinfonia. Da una parte, infatti, il “motto” iniziale acquista, nella riproposizione, una valenza fatalistica (ma non bisogna dimenticare lo studio sul timbro, come il sibilo dei contrabbassi all’inizio, o il Trio contrastante, con entrate fugate); dall’altra parte il movimento sembra spegnersi nel nulla, con il “motto” sussurrato dai timpani, e sfocia invece in un episodio di transizione, tanto breve quanto decisivo, che congiunge direttamente i due ultimi tempi, attraverso un calibratissimo ed entusiasmante crescendo. Si approda dunque, col Finale, alla risoluzione di tutti i conflitti esposti, con una trionfale fanfara che è in realtà la conversione ottimistica dell’idea iniziale; non a caso, nella mirabile costruzione in forma sonata di questo finale, il secondo tema non è più, come nel primo tempo, in opposizione al primo, ma piuttosto complementare ad esso. L’unico momento di interruzione di questo entusiasmo consiste nella riapparizione di un frammento dello Scherzo, come ricordo delle ombre e delle sofferenze da cui sono venute le conquiste finali. Ma per sottolineare ancora la sapienza costruttiva di questo movimento, converrà riferirsi alla riesposizione, che ripropone il crescendo della transizione ma in forma abbreviata, per evitare la debolezza di una replica testuale, e ricordare l’energia propulsiva dei tantissimi accordi iterati delle ultime battute, sui quali grava il peso liberatorio non solo del movimento ma di tutta l’arcata evolutiva del capolavoro sinfonico.