di Pina Ferro
Ci sono anche dei salernitani tra i 71 destinatari delle misure cautelari (56 ordinanze di custodia cautelare e 15 fermi) eseguite nell’ambito dell’operazione Petrolmafie Spa scattata ieri mattina al culmine di un’attività investigativa. Le indagini sno state condotte su una duplice direttrice investigativa dalle Direzioni Distrettuali Antimafia di Napoli, Roma, Reggio Calabria e Catanzaro – con il coordinamento della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo e di Eurojust – che hanno fatto emergere la gigantesca convergenza di strutture e pianificazioni mafiose originariamente diverse nel business della illecita commercializzazione di carburanti e del riciclaggio di centinaia di milioni di euro in societa’ petrolifere intestate a soggetti insospettabili, meri prestanome. Sul fronte anti-camorra hanno operato le Dda di Napoli e Roma, a mezzo di indagini rispettivamente sul clan Moccia e sulla Max Petroli srl. Il “clan Moccia”, sottolineano gli inquirenti, costituisce una tra le piu’ potenti e pericolose organizzazioni camorristiche del panorama nazionale ed e’ notorio per l’abilita’ nello stringere patti con esponenti di rilievo dei settori pubblico e privato per agevolare profittevoli investimenti di capitali illeciti nell’economia, legale e illegale. Tra le indagini condotte dalla Dda di Napoli negli ultimi 15 anni sul Clan, quella odierna mette in luce le piu’ attuali evidenze degli interessi dei Moccia nell’Economia legale, in particolare nel “settore strategico dei petroli”. Questa attivita’ prende le mosse nel 2015 da una indagine del Gico della Guardia di Finanza di Napoli – su delega della Ddapartenopea – che riguardava inizialmente rilevanti investimenti del clan Moccia nei settori dell’edilizia e del mercato immobiliare. A conferma dell’importanza attribuita al nuovo canale “legale” di investimento, si sarebbe occupato dell’attivita’ un esponente di vertice del clan, Antonio Moccia attraverso contatti, ampiamente intercettati, con l’imprenditore di settore Alberto Coppola, coi commercialisti Claudio Abbondandolo e Maria Luisa Di Blasio e con il faccendiere Gabriele Coppeta. Coppola avrebbe utilizzato nelle proprie relazioni commerciali la sua parentela con Antonio Moccia, presentandosi all’occorrenza come suo cugino; lo stesso Moccia avrebbe qualificato Coppola pubblicamente come suo “cugino”. Attraverso una serie di operazioni societarie, il gruppo sarebbe entrato in rapporti con la Max Petroli srl – ora Made Petrol Italia, di Anna Bettozzi, che aveva ereditato l’impero di Sergio Di Cesare, noto petroliere romano. Bettozzi, trovandosi a gestire una societa’ in grave crisi finanziaria, grazie alla conoscenza di Coppola sarebbe riuscita a ottenere forti iniezioni di liquidita’ da parte di vari clan di camorra, tra cui quelli dei Moccia e dei casalesi, che le avevano consentito di risollevare le sorti dell’impresa, aumentando in modo esponenziale il volume d’affari, passato da 9 milioni di euro a 370 milioni di euro in tre anni, come ricostruito dal III Gruppo Tutela Entrate della Gdfdi Roma su delega della Dda capitolina, anche grazie alla trasmissione da parte della Procura di Napoli delle proprie risultanze investigative, in totale osmosi informativa. Risulta che la Bettozzi avrebbe sfruttato non solo il riciclaggio di denaro della camorra, ma anche i classici sistemi di frode nel settore degli oli minerali, attraverso la costituzione di 20 societa’ “cartiere” per effettuare compravendite puramente cartolari in modo tale eludere con la Made Petrol le pretese erariali, potendo cosi’ rifornire i network delle cosiddette “pompe bianche” a prezzi ancor piu’ concorrenziali. Il successo imprenditoriale avrebbe consentito inoltre agli indagati di mantenere un elevato tenore di vita, fatto di sontuose abitazioni, gioielli, orologi di pregio e auto di lusso. Nel mese di maggio 2019, ad esempio, Bettozzi fu fermata a bordo di una Rolls Royce alla frontiera di Ventimiglia (IM), mentre si recava a Cannes per partecipare all’omonimo festival del cinema, e trovata in possesso di circa 300 mila euro in contanti. I successivi accertamenti presso il lussuoso albergo a Milano dove soggiornava, hanno consentito agli investigatori di rinvenire altri 1,4 milioni di euro, sempre in contanti, poi sottoposti a sequestro. I Moccia, secondo quanto accertato dagli investigatori, avrebbero posto la base logistica per lo svolgimento delle attivita’ fraudolente negli uffici napoletani di Coppola da dove sarebbero state coordinate le commesse di materiale petrolifero e organizzato il vorticoso giro di fatturazioni per operazioni inesistenti e i movimenti finanziari (esclusivamente on-line). Per il gruppo criminale, infatti, una volta disposti i bonifici relativi al formale pagamento del prodotto energetico sarebbe sorta la necessita’ di monetizzare in contanti le somme corrispondenti all’Iva non versata all’erario dalle societa’ cartiere. Per la raccolta delle ingenti somme liquide derivanti dalla frode, il clan Moccia si sarebbe avvalso di una vera e propria organizzazione parallela, autonoma e strutturata, atta al riciclaggio di elevate risorse finanziarie, gestita da “colletti bianchi”, attiva sia sul territorio partenopeo che su quello romano. In pratica, le societa’ “cartiere” gestite dal gruppo Coppola, una volta introitate le somme a seguito delle forniture di prodotto petrolifero, avrebbero effettuato con regolarita’ ingenti bonifici a societa’ terze, simulando pagamenti di forniture mai avvenute. Quest’ultimo, mediante la propria organizzazione territoriale, avrebbe provveduto ai prelevamenti in contanti e alle restituzioni tramite “spalloni”. Nello svolgere tale attivita’, questo gruppo avrebbe trattenuto per se’ una percentuale su quanto incassato. Si sarebbe trattato in buona sostanza di soldi provenienti dalle attivita’ illecite dei clan reinvestiti in un settore economico legale, quello dei petroli, per produrre altri proventi illeciti attraverso le frodi fiscali: un effetto moltiplicatore dell’illecito che avrebbe finito per annichilire la concorrenza, sia per i prezzi alla pompa troppo bassi per gli operatori onesti, sia perche’ questi ultimi indietreggiano quando capiscono che hanno di fronte imprenditori mafiosi. Per il territorio di Roma, quella struttura professionale si sarebbe avvalsa di altri soggetti che gestivano piccoli gruppi di persone, le cui mansioni erano quelle di effettuare continui prelievi di contanti (in misura frazionata) su conti correnti postali intestati a societa’ cartiere e a soggetti prestanome. Tali risorse finanziarie in contanti, una volta raccolte, venivano concentrate nell’area napoletana, e fatte pervenire, tramite “spalloni”, agli stessi riciclatori romani, che successivamente provvedevano alla consegna ai “clienti”, tra i quali figurava, secondo gli inquirenti, proprio il gruppo societario facente capo ad Alberto Coppola e Antonio Moccia, a perfetta chiusura del riciclo di denaro sporco. Antonio Moccia, Alberto Coppola e Anna Bettozzi risultano gravemente indiziati di avere stretto un accordo societario di fatto per la commissione di illeciti di cui avrebbero beneficiato praticamente tutti i soggetti coinvolti Come emerso dalle indagini napoletane, la rilevanza dell’incipiente business dei Moccia nel settore degli oli minerali, nel quale quel clan era diventato egemone proprio grazie ai prezzi super-competitivi ottenuti grazie alle frodi, avrebbe provocato reazioni anche violente da parte di altri clan della camorra.