Macbeth: l'albero, la mente, la gabbia - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

Macbeth: l’albero, la mente, la gabbia

Macbeth: l’albero, la mente, la gabbia

Ieri mattina Lina Wertmuller ha presentato insieme a Valerio Ruiz e Daniel Ezralow la lettura del complesso titolo verdiano

 

Di OLGA CHIEFFI

 

Foyeur del teatro Verdi di Salerno affollato ieri mattina per la presentazione del Macbeth, che ritorna al massimo dopo ben dieci anni, firmato da Lina Wertmuller e Daniel Ezralow, che andrà in scena con la doppia direzione di Daniel Oren, per la prima di lunedì 21, e Carmine Pinto per le due repliche del 24 e del 26 novembre, alla testa dell’Orchestra Filarmonica Salernitana e del coro preparato da Tiziana Carlini. Incontro, presenziato dal Sindaco Enzo Napoli, tra il serio e il faceto con Lina Wertmuller che ritorna a Salerno per una grande sfida musicale, dopo la miniatura presentata nella primavera del 2003, al teatro Augusteo, scritta per il Conservatorio Martucci e il Liceo Artistico “Andrea Sabatini”, con le musiche di Antonio Sinagra “L’ avventura spericolata di don Quijote”, insieme a una riduzione dell’ opera di Manuel de Falla “El retablo de Maese Pedro”. Dopo i lazzi scambiati con Peppe Iannicelli, in cui la regista vede, forse, un futuro Falstaff, senza trucchi, e rapita dal sorriso di Antonio Marzullo (ma noi siamo certi che è stato lo sguardo fiero e intenso d’eredità saracena), nonché dalla voce alter ego del suo trombone, che le ha fatto promettere un ritorno anche nella prossima stagione lirica per un’opera comica, quasi sicuramente il Don Pasquale donizettiano, Valerio Ruiz, il suo braccio destro, unitamente alla scenografa Virginia Vianello al Light designer Daniele Nannuzzi e alla costumista Nicoletta Ercole, ha delineato gli elementi su cui si basa la rilettura del complesso titolo verdiano. Sul fondo del palcoscenico campeggia un albero millenario. L’albero è latore di una simbologia immensa, in questa tragedia della conoscenza, ovvero della difficoltà che l’uomo ha di conoscere sé stesso, i propri simili, il proprio destino. Una dialettica instancabile fra una storia intesa come sviluppo necessario e una volontà che quello sviluppo cerca di prevedere e prevenire, incanalare e piegare, una forma, dunque, inizialmente chiusa, ma continuamente riaperta dalla certezza e, quindi, dalla sconfitta dell’attesa, dalla razionalità e dall’irrazionalità dell’azione, dalla conferma di una logica superiore e dal colpo di scena. Lina Wertmuller e Valerio Ruiz hanno offerto all’albero i simboli di corpo, mente, ramificazioni della psiche, basandosi su di una riflessione di Sigmund Freud sulla Lady, nel saggio “Coloro che soccombono al successo”. La fine di Lady Macbeth rimane imprecisata, la vediamo per l’ultima in uno stato di profondo malessere, il medico lo definisce come un grave disturbo delle funzioni naturali. Shakespeare sicuramente non aveva le conoscenze psicanalitiche che oggi sono acquisite sul sonnambulismo, ma aveva intuito che dietro questo stato di veglia apparente si nasconde una realtà più profonda, un momento nel quale affiora alla coscienza la vera natura dell’essere. Il sonnambulismo viene considerato come una malattia dell’anima, in una scena successiva Macbeth pensa di individuare l’origine del male nella memoria e la sua cura nell’oblio del dolore, e domanda al dottore: “Non sai somministrare nulla a una mente inferma, strappare dalla memoria un dolore che vi si è radicato, cancellare le scritte angosciose del cervello, e con qualche dolce oblioso antidoto liberare il petto ingombro della materia pericolosa che pesa sul cuore?” (Macbeth, V. 3. 40-45). L’albero, quindi simboleggia la ricerca delle radici del male, la mancata discendenza, e le ramificazioni che hanno attanagliato la mente e incombono sul castello, cui si è inteso dare l’immagina della gabbia. Albero del bene e albero del male, come in tutti i miti, un recinto che viene da sempre attentato, da quello dell’epopea di Gilgamesh all’Eden, che verrà disseccato dal taglio ma dal sangue stesso, fatto rifiorire. Questo l’approccio anche del coreografo Daniel Ezralow, le cui streghe sono prolungamenti dell’albero del male, nato nei due protagonisti e diventano pura energia, ai piedi del grande albero, in un gioco di invenzione della materia in cui intuiremo la sua visione ecologista e positiva del mondo. Anche se mancando Daniel Oren, in conferenza si è parlato poco della partitura verdiana, si sa che sulle spalle dei protagonisti del Macbeth ricade quasi totalmente il peso dell’opera e che a loro spetta il dovere d’assicurare il successo della rappresentazione. Ritroveremo nelle vesti della Lady, la Abigaille del Nabucco, Susanna Branchini, pronta al riscatto, nel ruolo del titolo George Petean, mentre Banco sarà In-Sung-Sim. Le parti tenorili sono state affidate ad Azer Zada (Macduff) e Francesco Pittari Malcom. A completare il cast, Miriam Artiaco (Dama di lady Macbeth), Pierrick Boisseau (il Medico), Angelo Nardinocchi (un domestico) Walter Aversa (Duncano) e Fabrizio Savino (Fleanzio).

Olga Chieffi