Ultima settimana per poter ammirare le opere dello scultore pistoiese in dialogo con i reperti del Museo Archeologico Provinciale di Salerno, nel raffinato allestimento di Niccolò Lucarelli
Di OLGA CHIEFFI
Un dialogo sul Mito, è stata così interpretata la mostra dello scultore pistoiese Loriano Aiazzi, dal curatore Niccolò Lucarelli, come un racconto per immagini dall’Età Arcaica alla Grecia, al periodo etrusco-sannitico –, con l’intento di ricercare l’attualità concettuale del Mito, di innescare una riflessione sulle emozioni universali dell’umanità, ospite ancora per una settimana al Museo Archeologico Provinciale di Salerno. Fermare l’attenzione sul mito significa guardare la realtà con sguardo che sappia andare oltre l’apparenza; significa liberarsi degli orpelli chiassosi dai quali la nostra mente è ormai quotidianamente invasa e fasciata, è immergersi in quell’ universo di lùpe kai èdoné, dolore e piacere, Eros e Thanatos. Nella cultura contemporanea il termine “medium” significa “mezzo” in quanto strumento, interfaccia. La mediterraneità non è solo la condizione del comunicare in senso geografico ma anche e soprattutto del trasmettere; mediterraneità è opportunità di confrontarsi. Mediterraneità è una condizione che si sviluppa sia all’interno di uno spazio fisico ben definito, sia in altri luoghi più immateriali come quelli della mente, il cui contorno è confine fra un “dentro” e un “fuori”. Il dentro è il luogo della mediazione, il luogo dell’intelligenza, dell’invenzione e dello scambio mentre l’esterno è il thesaurum, cioè la riserva delle diversità. Il Mediterraneo è legato ai miti del divenire e del trascorrere. La sua mitologia è spesso mitologia della contrapposizione e del dominio, la sua costante è l’alternanza, l’instabilità, il dualismo, il suo essere è anfotero come l’apollineo e il dionisiaco, come la notte e il giorno, come la luce e l’ombra. In pochi, sapienti tratti, ogni scultura esposta, dai bronzi di Aiazzi ai reperti museali, racchiude una storia dal sapore antico, delicata come i versi delle poetesse della Magna Grecia che omaggiavano la bellezza femminile e la dolcezza dell’amore. Nelle opere di Aiazzi prevale il lato femminile, unico depositario della forza generatrice della vita, che ha nella maternità la sua chiave di volta. Poche, semplici linee per dare vita a una narrazione universale, realizzata tra estenuazione parossistica delle forme gravitazionali e un sublime aereo e irraggiungibile. Il mito della mediterraneità è anche il mito della perdita di un passato “mitico”, perciò si alimenta della memoria e fa della rimembranza il suo strumento esecutivo. L’epos è ispirato dal tempo e il mito è il suo quaderno di appunti e di annotazioni. La memoria è una catena di equazioni in immagini che legano, a coppie, l’ignoto col noto: il noto è la leggenda posta alla base della tradizione, mentre l’ignoto che si presenta ogni volta come nuovo è il momento attuale della cultura. Il Mediterraneo diventa qui l’infanzia e la giovinezza dell’umanità, “theatrum mundi”, in dialogo con i reperti del Museo, posti in doppio contrappunto da Niccolò Lucarelli. Nelle opere di Aiazzi traspare una sottile vena di ironia: è in tale ironico distacco che possiamo ritrovare il segno della modernità e cogliere quell’idea di classicismo inteso come un riportare il tempo nella sua normale corsa e non più disperata, salvandoci da quel disvivere che oggi ci attanaglia.