L’omaggio al Prete Rosso della Fondazione Ravello - Le Cronache
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L’omaggio al Prete Rosso della Fondazione Ravello

L’omaggio al Prete Rosso della Fondazione Ravello

Pasquetta nella Città della Musica con l’orchestra Filarmonica Salernitana e il coro con soliste Francesca Ascioti e Daniela Cappiello, diretti da George Petrou. In programma la Sinfonia in si minore RV 169 «Al Santo Sepolcro», il Magnificat e il celeberrimo Gloria

Di Olga Chieffi

Niente musica a Salerno, ma il Lunedì di Pasquetta  sarà l’Orchestra del nostro Teatro Verdi ad andare in trasferta a Ravello, prima di affrontare nel massimo cittadino l’antigenerale della Manon Lescaut di Giacomo Puccini che venerdì 14 saluterà l’apertura della stagione lirica, con sul podio Daniel Oren. L’Orchestra e il Coro del Verdi, quest’ultimo preparato da Francesco Aliberti, diretti da George Petrou, presenteranno  un programma monotematico, dedicato ad Antonio Vivaldi. Organizzato dalla Fondazione Ravello, l’appuntamento pasquale, ospite del Duomo ravellese alle ore 11,30, aprirà la stagione della Città della Musica con una delle bacchette più sensibili della musica barocca, George Petrou. Voci soliste del concerto saranno invece il contralto Francesca Ascioti e il soprano Daniela Cappiello la quale si è diplomata presso il nostro conservatorio. Il concerto sarà inaugurato dall’esecuzione della Sinfonia in si minore RV 169 «Al Santo Sepolcro», datato 1730. La sua struttura, formata da un Adagio e una Fuga, è piuttosto anomala nella produzione vivaldiana, nella quale il contrappunto è sempre un elemento secondario dell’invenzione. Il movimento introduttivo crea un’atmosfera di sospensione, che riesce nello stesso tempo a esprimere raccoglimento religioso e forte attesa per un evento imminente. Da notare il rifiuto del basso continuo: Vivaldi si premura di precisare “Senza Organi o Cembali”, quasi a voler prendere le distanze da certi effetti di fascino sonoro che potevano generarsi dall’impiego del basso continuo come fattore propulsivo della discorsività musicale. Tutta la tensione sfocia nell’Allegro ma poco, il quale tesse con lenta sofferenza una fuga nella quale convivono due soggetti cromatici di natura opposta: uno ascendente e l’altro discendente. Questa scelta ha certamente qualcosa di icastico, nella sua capacità di incrociare temi che si muovono in direzione opposta, proprio come gli elementi strutturali della Croce, simbolo della Passione di Cristo. Seguirà il Magnificat in Sol RV 611, una compiuta sintesi tra lo stile della prima maturità dell’autore e quello degli ultimi anni, oramai incline ad accogliere le suggestioni di quello stile galante, all’epoca sempre più diffuso in Italia e in Europa. Come le due versioni precedenti, il Magnificat è avviato con un breve coro, dopo il quale si alternano tre  arie per soprano  archi e continuo A queste tre pagine solistiche subentrano tre importanti numeri corali, la densa e, suggestiva costituzione polifonica di Et misericordia ejus a progenie in progenies, il tempestoso Fecit potentiam e gli unisoni del Deposuit potentes, in un’alternanza poi di coro e solisti , sino all’ ultima pagina solistica Sicut locus, sino alla conclusione affidata al coro con un Largo omoritmico, il Gloria Patri, un Andante Sicut erat in principio e l’ Allegro elaborato in doppia fuga  Et in Saecula saeculorum , Amen. Finale con il Gloria del Prete Rosso in quell’alternanza di dodici movimenti che si susseguono l’un l’altro secondo un criterio di alternanza nei tempi, nei ritmi, nella tonalità in assoluto equilibrio. In quest’opera, come un po’ in tutta la produzione sacra vivaldiana, si resta immediatamente colpiti dalla fastosità barocca e dallo sfarzo sonoro che il compositore ottiene con un largo impiego di mezzi vocali e strumentali, con l’immissione di elementi dello stile concertante “profano” e con un’estrema varietà di scelte stilistiche e costruttive. I piani tonali sono ben calibrati: l’incisività del motto iniziale con le ottave, la massiccia scrittura corale, fanno del Gloria in excelsis, una pagina brillante e spettacolare; per contrasto l’Et in terra pax successivo è impostato in modo minore, in scrittura imitativa, con alterazioni cromatiche che lo schizzano di tragicità dolorosa. Netto cambiamento stilistico col Laudamus te che adotta l’impianto formale del concerto solistico, con una serie di episodi solistici affidati ai due soprani, accompagnati dal continuo, che procedono per semplici imitazioni o raddoppiandosi a distanza di terza. Una breve sezione di raccordo, il Gratis agimus tibi, conduce al Propter magnam gloriam tuam, un brano contrappuntistico dal fitto intreccio imitativo. Il Domine Deus, invece, riporta alla dimensione mondana, in un brano che adotta lo stile di un’aria teatrale solistica. Più drammatico il Domine fili unigenite, retto da un incisivo ritmo puntato. Un tema dei bassi altamente espressivo introduce il Domine Deus, Agnus dei, brano in cui è protagonista il contralto, una pagina di grande intensità emozionale, con il patetismo accresciuto dagli interventi del coro. Un breve movimento corale il Qui tollis peccata mundi, dalle dissonanze aspre, cariche di tensione, funge da collegamento a Qui sedes ad dextram patris, affidata al mezzo soprano. Il Quoniam tu solus sanctus è la ripresa musicale del Gloria e riporta all’atmosfera luminosa d’apertura, prima dell’ultimo movimento, il Cum sancto spirito, luogo tradizionalmente riservato allo sfoggio della scienza e dell’abilità contrappuntistica, costruito su di un soggetto di fuga del compositore Giovanni Maria Ruggieri.