Vince ma non convince la pièce di Edoardo Erba, diretta da Roberto Andò con Laura Morante protagonista, andata in scena lo scorso week-end al Teatro Verdi di Salerno
Di OLGA CHIEFFI
Giù le mani da “La Locandiera” di Carlo Goldoni, come giù le mani da “La Gatta Cenerentola” di Basile – De Simone, questo il pensiero che ci ha attanagliato all’apertura del sipario (mal raccolto, purtroppo, dai siparisti del nostro massimo nel suo alloggio) sulla scena della Locandiera B&B di Edoardo Erba. Un’operazione che ricalca quella del film cartoon Gatta Cenerentola di Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri e Dario Sansone, con usi e abusi di titoli e personaggi messi sul piatto del commerciale per attrarre diversi target di pubblico. Goldoni con questa pièce, interpretata da un’ottima Laura Morante, supportata da una pari compagnia, con tempi scenici perfetti, a sorpresa microfonati, e con impennate sopra le righe, specialmente da parte dei ruoli maschili, non c’entra per nulla, se non per i nomi a metà per cui Mirandolina, diventa Mira, così come bisillabici sono i nomi degli altri sei: Riva sta per il Cavaliere di Ripafratta, interpretato da Danilo Nigrelli, Albi per il Conte d’Albafiorita, affidato a Bruno Armando, Poli per il Marchese di Forlipopoli, (Roberto Salemi) Brizio per il cameriere Fabrizio (Vincenzo Ferrera), Orte per Ortensia (Giulia Andò), Deja per Dejanira (Eugenia Costantini), diretti dal regista Roberto Andò. Mira viene lasciata a gestire una cena di creditori del marito, in sintonia col ruolo effettivo che la donna veniva ad assumere nel Settecento, entro la dialettica delle componenti sociali e individuali, la donna borghese – sia essa saggia, scaltra, onorata, prudente, volubile, amorosa o più spesso un insieme di tutto ciò- quale indispensabile tramite fra i ceti, le generazioni, le componenti familiari, intenta a corrodere le nette separazioni, come il più significativo fra i reagenti sociali. Infatti, è lei che deve reggere la conversazione con persone che non conosce, cercando di “tener banco”, in attesa del marito che mai giungerà. Pian piano che i nodi vengono al pettine, Ripa sopraggiunge armato proprio per far fuori il marito di Mira, e Brizio, il contabile, dopo anni di sfruttamento intende finalmente in prima persona trattar il riciclaggio di danaro con Poli e Albi, Mira prende coscienza di sé del suo delizioso figurino di amabile seduttrice e comincia ad intessere le sue trame. Mentre la Mirandolina goldoniana conserva la fierezza di un ceto sociale nuovo, l’interesse, i soldi non ad ogni costo, accettando di correre non oltre la soglia dell’abisso, attentissima a non precipitare mai nella voragine, vendendosi psicologicamente, ma mai fisicamente, Mira ascende nel suo cinismo, facendo passare Brizio per suo marito e facendolo uccidere dal cavaliere, tenendo così, lontano per sempre il compagno truffatore dal suo B&B, che stava per altro per alienare, dando così ad intendere ed apprezzare il solo valore delle cose, trasformandosi nella commerciante dell’arte della locanda, guardando, quindi alla sua nuova condizione sociologica, più che alla propria individualità. Un noir in una casa degli inizi del Novecento, tutta specchi, anche le porte, con fondale bronzato riflettente, che rimanda la parte posteriore deforme, allungata ed allargata, confondendo i contorni ed esasperando le forme, riempie la scena di ombre, di attesa e di incertezza, in cui risuonano ansie, sofferenze, vizi, amarezze, apprensioni e lancinanti lacerazioni di tutti i personaggi, con la protagonista capace di costruire in una notte il proprio destino. “Non siamo aperti” dice la locandiera “No trepassing” è il cartello appeso al cancello di Castello Xanadu e ai suoi specchi, abitato da Kane, il self made man, in “Quarto potere”. Roberto Andò usa, così, il linguaggio che meglio conosce per mandare elegantemente gabbati a casa gli spettatori.